commento di Susanna Pagiotti
“Ogni
persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei
motori di ricerca dei dati che, per il loro contenuto o per il tempo
trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più
rilevanza.
Il
diritto all’oblio non può limitare la liberta di ricerca e il
diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che
costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una
società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle
persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i
dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’
attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate.
Se
la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei
dati è stata accolta, chiunque ha diritto di conoscere tali casi e
di impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per
garantire l’interesse pubblico all’informazione.”
(Art.10
della bozza della Dichiarazione dei diritti in internet)
Affrontare
il tema del diritto all’oblio significa muoversi all’interno di
uno dei più accesi dibattiti che nel mondo giuridico e istituzionale
sta scaldando non solo giuristi, ma anche sociologi (informatici,
storici, filosofi etc.). Negli ultimi anni questo tema, di carattere
prettamente giuridico, è riuscito a trovare un proprio posto anche
nelle cronache nazionali e internazionali, si pensi prima di tutto
all’ambito europeo, gettando le basi e i presupposti di un sempre
più largo dibattito che, piuttosto che semplificare la questione, ha
contribuito a sottoporla ad un ventaglio di sfaccettature sempre più
ampie coinvolgendo anche pareri di sociologi e antropologi che di
questo diritto e della sua garanzia ne hanno fatto base per una
riflessione sull’identità umana e sulle sue implicazioni ai tempi
del web.
Ma
procediamo con ordine: per diritto all’oblio si intende, in ambito
giuridico, una particolare forma di garanzia mirata alla non
diffondibilità di informazioni pubblicate nel passato e nel passato
di lecita diffusione, che potrebbero ad oggi però essere
pregiudizievoli per il soggetto e lesivi del proprio onore, laddove
non si riscontri nel presente un nuovo interesse diffuso legato alla
conoscenza di tali informazioni e laddove quindi la notizia abbia
perso attualità e rilevanza. Sono quindi elementi fondamentali e
intrinsechi nel diritto all’oblio, il trascorrere del tempo dal
fatto avvenuto e dalla pubblicazione della notizia e con esso una
possibile e progressiva perdita di attualità della notizia diffusa.
Nel diritto sono sottoposte a questa garanzia informazioni
soprattutto riferibili a precedenti giudiziari. Proprio in base a
questo principio si considera reato la diffusione e la pubblicazione
di informazioni la cui conoscenza non risponda a principi di
pertinenza, di interesse pubblico o diffuso e di proporzionalità nel
caso in cui, in situazioni particolari ricollegabili al diritto di
cronaca, ci sia il bisogno di riportare la notizia sotto i
riflettori. Tradizionalmente, invece, questo diritto è visto come il
diritto a che nessuno riproponga nel presente un episodio che
riguarda la nostra vita passata e che, per le ragioni più disparate,
si vorrebbe rimanesse radicato nella storia ritendendo la notizia non
più rilevante ai fini di una interesse collettivo alla conoscenza
del fatto. Ma il diritto all’oblio è anche più generalmente
conosciuto come il “diritto ad essere dimenticati”,
allocuzione questa, che ha dato il via all’interesse e alla
curiosità di numerosi esperti del sistema giuridico ma non solo.
Per
comprendere appieno questo diritto e la sua natura, è necessaria
però una riflessione, o meglio, un passo indietro che riesca bene ad
inquadrare la natura di questo misterioso strumento di garanzia.
Questo diritto infatti ha l’interessante caratteristica di essere
mutevole al mezzo (media) al quale si adatta. Sarebbe quindi del
tutto inappropriato condurre una riflessione sull’oblio che guardi
indifferentemente alla sua applicazione nei casi dei media
tradizionali di carta stampata, ad esempio, e in quelli della rete.
Essere dimenticati dai quotidiani è una cosa, essere dimenticati dal
web è tutt’altra cosa. Nel caso dei media tradizionali infatti è
più appropriato rivolgere l’attenzione della riflessione circa il
problema dell’archiviazione degli articoli pubblicati nel passato,
archiviazione che richiede particolari criteri riguardo il suo ordine
e soprattutto la sua accessibilità. Cambia invece tutto se
l’archivio è il web.
Riflessioni
primo e secondo comma
Parlare
oggi di diritto all’oblio, alla luce dell’evoluzione dei media di
comunicazione ed in primis con l’avvento del web, ha
un’accezione del tutto diversa, che implica anche una diversa
riflessione dal punto di vista giuridico; non si tratta più della
sola e univoca chiave di lettura data a questo diritto nel tempo come
diritto a che non vengano riproposti fatti accaduti nel passato, ma
il focus si sposta proprio sul diritto di ciascuno di noi di gestire
e riprendersi pezzi della propria storia pubblicata online. Per
trattare quindi di questo diritto, nuovo e sottoposto alle
caratteristiche del web, è però importante affrontare le
riflessioni necessarie che il suo riconoscimento e la sua garanzia
portano con sé, andando spesso a contrapporsi ad altri diritti e
principi riconosciuti e che in questo conflitto rischierebbero di
venire soffocati.
Interessante
a questo proposito è un articolo di Luciano Floridi, professore di
filosofia ed etica dell’informazione all’università di Oxford,
nonché uno dei più grandi esperti al mondo di media digitali e
filosofo dei tempi del web. Il diritto all’oblio è per Floridi un
diritto che già fin dalla sua origine e più che mai con l’avvento
di internet, pone più domande che risposte; tra queste, una delle
riflessioni più importanti che riguarda la sedimentazione delle
informazioni sensibili e private prodotte e pubblicate nel passato e
che si vorrebbe rimanessero tali. Il web infatti può essere visto
come una “pianura” priva di profondità storica, nella quale,
quindi, le informazioni prodotte nel tempo, non si sovrappongono alle
altre provocando lo sprofondamento delle informazioni più obsolete,
ma la sua struttura è talmente dinamica da riproporre immediatamente
un’informazione giacente nei meandri del web riportandola ad
un’attualità e ad una rilevanza straordinaria. Ecco che quindi lo
stesso Floridi si pone un primo importante interrogativo: come
garantire che i propri dati personali possano essere rintracciati
senza essere costantemente ricordati? E’ inevitabile quindi
collegare questo tipo di riflessione e questa garanzia al diritto
alla privacy contrapposto da sempre alle libertà di opinione e di
espressione. Ma non solo. Ancora più interessante infatti è la
contrapposizione che questo diritto ha, non solo nei confronti di
diritti e libertà individuali (comunque di eguale importanza e di
necessaria tutela), ma nei confronti di diritti collettivi e diffusi
che mette di fronte ad un interesse del singolo, quale il diritto
all’oblio, un interesse che appartiene alla collettività. Non è
infatti possibili de-linkare un’informazione personale dal
web, rendendola così inaccessibile, nel caso in cui questa sia di
interesse pubblico. Il quesito si trova proprio qui: come si
stabilisce che un determinato dato sia di effettivo interesse
pubblico (la “rilevanza” di cui al comma 1)? Questo è
forse uno dei più grandi e indistricabili nodi che la riflessione
del diritto all’oblio porta con sé, in quanto ragionare sugli
interessi pubblici connessi ai dati archiviati nel web significa
accettare di dover riflettere su tante implicazioni che questo porta
con sé. Sembra infatti semplice giungere alla conclusione che se,
nel rispetto del diritto di cronaca, un’informazione passata è di
nuovo attuale, questi dati debbano essere riproposti nei confronti di
un pubblico che è tenuto e legittimato a conoscere; è invece più
difficile comprendere, nella concretezza del caso, quando sia
veramente necessario riportare alla ribalta queste informazioni senza
rischiare di ledere senza motivo ed oltremisura il diritto del
singolo a che quei dati non vengano riproposti.
Ancora
più ingarbugliato è poi il dibattito che si apre riguardo i diversi
trattamenti che le informazioni possano ricevere nel caso in cui si
tratti di dati personali (soprattutto se giudiziari) appartenenti a
personaggi pubblici, a cui appartiene un ruolo influente rispetto ad
un normale cittadino (public life vs private life per
lo psichiatra Tisseron che interpreta questo quesito legando il suo
possibile scioglimento alla natura del soggetto in questione). Quando
un soggetto può dirsi personaggio pubblico (c.d. personaggio noto
nel secondo comma dell’articolo)? Si tratta semplicemente di
soggetti appartenenti al mondo della politica e delle istituzioni le
cui informazioni, ad esempio giudiziarie, possano essere di grande
interesse per l’elettorato, o anche di personaggi dello spettacolo?
Se quindi l’informazione veicolata non è attinente al ruolo
pubblico e sociale del soggetto, può considerarsi di interesse
pubblico? In altre parole, interessa a noi cittadini sapere che il
cantante Tizio sia stato indagato per frode venti anni fa quanto
sapere che ad essere indagato per frode è stato il famoso Caio
esponente di un partito che nel governo ha largo consenso? Questi
sono alcuni dei tanti quesiti che il riconoscimento di questa
garanzia lascia senza risposte e che, anche secondo Floridi, porta a
dover contrapporre questo diritto ad uno dei diritti più cari ai
paesi di stampo democratico, baluardo di tante libertà connesse, il
diritto all’informazione (il “diritto dell’opinione pubblica
a essere informata”, comma 2); è importante quindi che venga
bilanciato il diritto del singolo ad essere dimenticato alla
necessità di garantire che le informazioni che sono o sono state di
cronaca e che hanno o hanno avuto rilievo civile o sociale, non siano
oggetto di opere di censura improprie (così come sostiene anche
l’Esecutive Chairman di Google Eric Schmidt nell’apertura della
seconda conferenza del Comitato Consultivo per il diritto all’oblio
tenutasi a Roma).
Con
queste riflessioni si apre, a mio avviso, una delle sfaccettature più
interessanti dello studio del diritto all’oblio, quella che vede
scendere in campo professionisti della sociologia e della psicologia
per riflettere sulle conseguenze del riconoscimento di questa
garanzia ai tempi di internet, il quale ha sconvolto non solo i
processi di comunicazione, ma in primis il nostro modo di vivere la
realtà e di confrontarci con l’altro ma anche con noi stessi.
Un
apporto importante e originale in materia è quello dato dallo
psichiatra francese e dottore in psicologia Serge Tisseron che nel
terzo incontro del comitato consultivo di Google riguardo al diritto
all’oblio tenutosi a Parigi, interrogato sulla questione, apre lo
sguardo e la prospettiva della previsione di questo strumento di
garanzia affermando che “se cediamo alla tentazione di
permettere di rimuovere le informazioni che loro stessi hanno messo
su internet, otterremo una cultura in cui le persone hanno
l’impressione che sia possibile dire e fare qualsiasi cosa, tanto
dopo è possibile rimuoverlo”. Il suo punto di vista, che
distingue anche tra informazioni pubblicate da altri su se stessi e
informazioni pubblicate in prima persona, si concentra sulla
conseguenza psicologica che questa possibilità in mano a tutti i
soggetti, soprattutto ai più giovani che vivono nel web e che nella
rete hanno immesso un’enorme quantità di dati sin dalla più
giovane età, possa portarli a cancellare e modificare senza criterio
tutti quei dati che ritengono scomodi creando così un profondo gap
tra la realtà e ciò che viene mostrato nel mondo di internet
facendo di quest’ultimo un mondo parallelo per niente integrato con
la vita di tutti i giorni; questo è il presupposto per la creazione
di un profondo trauma nella psicologia degli individui che, anche non
volendo, sono costretti a fare i conti con una rete divenuta sempre
più presente nella vita e nelle scelte della società. E’ su
questo punto che si inserisce Guido Scorza, avvocato e dottore di
ricerca in Informatica giuridica e Diritto delle nuove tecnologie,
che a riguardo parla di educazione digitale (tesi sostenuta
anche da uno dei sociologi di internet più conosciuti ed ex allievo
di McLuhan, Derrick de Kerckhove), forse una delle migliori
tesi opposte al più largo riconoscimento del diritto all’oblio;
occorre infatti acquisire “un'attitudine a convivere in un
contesto tecnologico diverso rispetto a quello a cui eravamo
abituati. Nessuno di noi ha mai pensato di chiedere a qualcun altro
di cancellare dalla sua memoria qualcosa che aveva sentito sul suo
conto Possiamo farlo accettando
che oggi esiste uno strumento di supporto alla memoria collettiva.
D'altra parte i libri e gli archivi esistono da secoli. Ecco, oggi
c'è anche Internet”. Scorza getta le basi per quello che è il
discorso più ampio, che qui non approfondirò, sull’educazione ai
nuovi media, al web, uno strumento che si propone non più come una
struttura parallela nel quale l’individuo si muove saltuariamente,
ma come la possibilità che la tecnologia ci concede di ampliare i
nostri confini e i nostri sensi della quale oggi non possiamo più
fare a meno. La nostra percezione quindi di poter cambiare il nostro
passato, o meglio, poterlo cancellare, deve essere educata dalla
consapevolezza che con il passato dobbiamo fare necessariamente i
conti, ma che è possibile convivere con il web in maniera serena,
consapevoli che ciò che vi immettiamo resterà impresso in una
memoria che appartiene a tutti. Il contrario invece, e quindi la
cancellazione o la modificazione di questa memoria, che Scorza
riconduce ad un diritto collettivo alla storia “se consentiamo a
chiunque di pretendere la rimozione di un contenuto sgradito che lo
riguarda, tra cento anni quando guarderanno a questa epoca attraverso
internet sembreranno tutti bravi e buoni. Le storie di corrotti e
delinquenti saranno sparite”, porterebbe a conseguenze ben più
gravi di quelle che un più moderato riconoscimento del diritto
all’oblio porterebbe al soggetto titolare del diritto.
E’
infatti, con la massima e più alta garanzia del diritto all’oblio
che forse si giunge a quello che lo psichiatra Tisseron definisce
come il pericolo più grande (“sarebbe drammatico se i
legislatori facessero di questo internet la regola”), il
diritto alla smentita. Il rischio è dunque quello di lasciare che le
persone abusino di questo strumento, finendo così per rimuovere,
grazie alla smentita, non solo le informazioni, ma il fatto stesso.
Leggere
e inquadrare il diritto all’oblio in questo senso, significa
riconoscere che internet è divenuto nel tempo il nostro database di
informazioni che la memoria non riesce a immagazzinare e mantenere
per sua natura, che non si oppone però al diritto più che legittimo
di pentirsi e soprattutto di essere perdonato. Per pentirsi occorre
accettare di aver commesso errori, e riconoscerli. Per perdonare
occorre ricordare.
Una
trattazione sul diritto all’oblio, non può pertanto prescindere da
riflessioni che non siano prima di tutto di carattere sociologico e
psicologico. Non si tratta infatti di un semplice diritto sul quale
le istituzioni nazionali e internazionali sono chiamate a legiferare,
ma molto di più. Ragionare giuridicamente sul diritto all’oblio
significa prima di tutto aver riflettuto su quali implicazioni e
conseguenze il suo eventuale riconoscimento possa comportare.
L’ostacolo
più grande che la previsione della tutela di questo diritto porta
con sé, è forse quello rintracciabile nelle parole di Floridi circa
la territorialità della legge contro la non-territorialità di
internet. E’ veramente utile ed efficace proporre una
regolamentazione (con effetti territorialmente delimitati) che
disciplini il diritto in materia se internet è per eccellenza lo
strumento a-territoriale? Nel tempo, enti nazionali e sovranazionali
hanno comunque provato a proporre loro normazioni per inquadrare la
materia del diritto all’oblio.
L’Unione
Europea il 25 gennaio 2012 su proposta della Commissaria per la
giustizia e i Diritti Fondamentali Viviane Reding, ha elaborato una
riforma generale che tratta anche del diritto all’oblio
concentrandosi sulla più ampia tutela della privacy degli utenti nel
web, non ancora definitivamente approvato. La proposta consta di una
direttiva ed un regolamento. La prima, che dopo l’eventuale
approvazione dovrà essere quindi recepita da ciascun paese, riguarda
la protezione dei dati elaborati successivamente a provvedimenti
giudiziari prevedendo un trattamento dei dati fortemente tutelante da
parte delle autorità. Il regolamento invece riguarda tutti gli altri
casi, in particolare riguardanti il trattamento dei dati nel web ed
ha l’ambizione di proporsi come quadro di riferimento per tutti
coloro che vorranno operare in ambito europeo nel trattamento dei
dati. All’art. 17 il regolamento
disciplina il diritto all’oblio e alla cancellazione,
prevedendo il diritto del soggetto interessato di ottenere dal
responsabile la cancellazione di dati personali che lo riguardano e
la rinuncia a un ulteriore diffusione di tali dati, laddove i dati
non siano più necessari rispetto alle finalità, laddove
l’interessato ne revochi il consenso all’utilizzo o si opponga ai
sensi dell’articolo 19 (per finalità di marketing) o nel caso in
cui il trattamento non sia conforme al regolamento. Infine se il
responsabile del trattamento ha reso pubblici i dati, dovrà adottare
tutte le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i terzi
che stanno trattando i dati, della richiesta dell’interessato al
fine di cancellare qualunque link, copia o riproduzione dei suoi
dati. Il regolamento introduce quindi la possibilità di effettuare
direttamente l’operazione di cancellazione dei dati e non solo un
mero diritto di opposizione.
Ma
a dare una forte scossa in tema di diritto all’oblio è stata
sicuramente la sentenza conosciuta con il nome di “Sentenza Google
Spain” (causa C-131/12 Mario Costeja Gonzales e AEPD contro Google
Spain e Google Inc.). Mario Costeja Gonzalez si era rivolto
all’equivalente del nostro Garante per la Privacy in Spagna,
ritenendo di avere diritto a che i suoi link, che comparivano nella
pagina dei risultati di Google cercando il suo nome, venissero
rimossi. Tra questi link, alcuni rimandavano a pagine di giornale in
cui si raccontava della messa all’asta per motivi di necessità
economica della sua casa 16 anni fa. Per Costeja Gonzalez il
contenuto violava la sua privacy e non era più rilevante dopo che i
suoi problemi economici si erano risolti. I giudici della Corte
Europea hanno stabilito in merito che i cittadini europei hanno il
diritto di richiedere che alcune informazioni siano rimosse se queste
sono “non adatte, irrilevanti o non più rilevanti”. Secondo la
Corte deve essere possibile richiedere la de-indicizzazione alla
società che gestisce il motore di ricerca nel quale sono state
trovate le informazioni. In caso di inadempienza del motore di
ricerca si può ricorrere alle autorità competenti per ottenerne la
rimozione. Quella che è stata definita da Viviane Reding come “una
vittoria per la protezione dei dati personali” è stata invece
commentata dagli operatori del motore, in questo caso di Google, come
una sentenza deludente che minaccia la tutela della libertà
all’informazione online.
Le
conseguenze della sentenza Google Spain non hanno tardato ad arrivare
anche in Italia.
Da
sempre l’istituzione preposta a giudicare in materia di diritto
all’oblio e più ampiamente in tema di dati sensibili è il Garante
della privacy che, con la sentenza della Corte di Giustizia Europea,
ha rivisto il suo operato alla luce di quanto stabilito per il caso
Costeja Gonzales. Tra il novembre e dicembre 2014 il Garante si è
trovato a dover produrre un giudizio su nove casi assimilabili; in
sette di questi casi il Garante ha respinto la richiesta di
prescrivere a Google la deindicizzazione, facendo prevalere
l’interesse pubblico ad accedere alle informazioni giudicando il
caso come ancora recente e non concluso, mentre negli altri due casi
la richiesta è stata accolta essendo presenti informazioni eccedenti
su persone estranee alla vicenda giudiziaria e per dati inseriti in
un contesto non idoneo alla pubblicazione di tali informazioni (in
questo caso riguardanti la sfera sessuale).
Riflessioni
sul terzo comma
Il
problema della deindicizzazione è il tema toccato dal terzo comma
dell’articolo 10 della bozza della Dichiarazione dei diritti in
internet. Il fatto che a questo strumento sia dedicato uno specifico
comma, è già di per sé significativo; la deindicizzazione, e cioè
la rimozione dei link dal motore di ricerca, è spesso utilizzata
impropriamente come strumento coincidente e perfettamente aderente
all’esercizio del diritto all’oblio nel web. Sarebbe meglio
intendere il diritto alla deindicizzazione, però, come un
sottoprodotto del diritto all’oblio, e non come un continuum di
quest’ultimo. E’ da tenere bene in mente che l’indicizzazione è
per sua natura un elemento consustanziale al web (visto come
struttura informativa indicizzata), che appartiene ad esso e con il
quale il web si esprime e organizza. E’ un elemento imprescindibile
della rete senza la quale diventerebbe impraticabile e caotica a tal
punto da non riuscire più a svolgere le attività e garantire i
servizi per la quale è nata. Mettere mano sull’indicizzazione
delle informazioni in rete e quindi su questa struttura portante,
significa in primis andare a modificare e a “manomettere” lo
scheletro della rete. Per ovviare a questo, il comma proposto nella
bozza, suggerisce quello che può essere considerato un escamotage
che riesca a riequilibrare la scomparsa di alcune informazioni
dagli indici del web proponendo che, in caso di cancellazione degli
indici dai motori di ricerca, chiunque potrà esercitare il proprio
diritto a conoscere e impugnare tali casi di fronte all’autorità
giudiziaria per garantire l’interesse pubblico. Questo comma desta,
a mio avviso, non poche perplessità; sottintende infatti che il
soggetto richiedente ed esercitante il diritto a conoscere, sia
effettivamente a conoscenza che tali informazioni non siano presenti
nel motore di ricerca; questa formulazione sembra infatti attenere a
tutti quei casi in cui nel motore di ricerca si cerchino informazioni
che riguardano persone conosciute dal soggetto richiedente, che ha
quindi delle aspettative ben chiare circa quello che troverà e che
desidera trovare nel web. Il comma esclude quindi, a mio parere,
tutti gli altri casi in cui il soggetto che ricerca informazioni
online, non conosca nulla del soggetto che sta cercando, per cui non
avrà pregiudizi circa le informazioni che troverà o non troverà
online non potendo quindi esercitare di partenza il proprio diritto a
conoscere come accadrebbe invece nel primo caso. Tale previsione si
collega però anche ad un’ulteriore soluzione al tema; la soluzione
proposta dal comma si connette indirettamente alla più ampia
possibilità (portata avanti e difesa dallo stesso Tisseron) di
prevedere una struttura in internet che funga da archivio di tutte
quelle informazioni che nel tempo sono state cancellate e
deindicizzate in modo da tutelare l’interesse privato da un lato e
quello pubblico dall’altro. In sostanza dai diversi incontri dei
Comitati Consultivi di Google è emersa la possibilità di trovare
uno spazio in “google.com” nel quale, chi sia deciso e
determinato nel ricercare informazioni circa una persona fisica o
giuridica, abbia uno spazio nel quale poter trovare tutto ciò che
cerca, in modo da esercitare così, il proprio diritto
all’informazione. Anche questa soluzione però lascia spazio a non
pochi dubbi; prevedere uno spazio in cui raggruppare informazioni che
la persona a cui si riferiscono ha voluto cancellare, è veramente
rispettoso del diritto all’oblio di cui la deindicizzazione è uno
strumento? Trovare delle informazioni in questo database, non produce
forse effetti contrari a quelli che la deindicizzazione ha lo scopo
di produrre? Venire a conoscenza infatti che un soggetto abbia
richiesto la cancellazione di alcune informazioni sul proprio conto,
rischia di aumentare il pregiudizio nei confronti del soggetto in
questione, per cui potrebbe dare l’impressione che lo stesso abbia
magari commesso un reato ben più grave di quello che forse ha
veramente commesso; per fare un esempio, se viene accolta la mia
richiesta di cancellazione di informazioni circa un pignoramento
avvenuto nei confronti dei miei beni, in coloro che vengono a
conoscenza di questa cancellazione nascerà il pregiudizio per cui
penseranno probabilmente che il pignoramento sia avvenuto in seguito
ad una commissione di reato grave che io soggetto titolare non voglio
si venga a sapere.
La
disciplina prevista dalla proposta della Camera all’articolo 10
della bozza della Dichiarazione dei diritti in internet, si muove da
una parte verso il giusto obiettivo di bilanciare gli interessi
contrapposti dando rilievo anche al diritto all’informazione, ma
risulta ancora vaga, in base alle riflessioni sopra riportate. A mio
parere un diritto di questo tipo non può essere “costretto” nei
confini di una regolamentazione nazionale che sembra voler porre
limiti giuridici territoriali (ad esempio con le autorità
giudiziarie nazionali) laddove non esistano nel web e sembra voler
ricondurre temi di interesse sovranazionali alla regolamentazione del
nostro ordinamento giuridico. Ma anche laddove entrino in campo enti
sovranazionali, forse non si sta ancora tenendo conto di quello che a
mio parere è il più grande interrogativo: è giusto riconoscere un
diritto all’oblio in internet?
Riferimenti
:
-Testo
Dichiarazione dei diritti in internet
http://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/upload_file/upload_files/000/000/187/dichiarazione_dei_diritti_internet_pubblicata.pdf
-definizione
diritto all’oblio http://www.ildirittoalloblio.it/diritto-all-oblio
-definizione
diritto all’oblio
http://www.diritto.it/docs/36656-il-diritto-all-oblio-definizione-e-caratteri
-intervista
Guido Scorza su diritto all’oblio
-articolo
Luciano Floridi
http://www.theguardian.com/technology/2014/nov/11/right-to-be-forgotten-more-questions-than-answers-google
-Serge
Tisseron su public
life
vs private
life-Conferenza
comitato consultivo Google Parigi (min. 51.10)
https://www.google.it/intl/it/advisorycouncil/
-Eric
Schmidt su Conferenza comitato consultivo Google Parigi (min. 45.41)
https://www.google.it/intl/it/advisorycouncil/
-Serge
Tisseron e approccio psicologico al diritto all’oblio (min.56.05)
https://www.google.it/intl/it/advisorycouncil/
-intervista
Derrick Kerckhove
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/controllati-controllori-sociologo-kerckhove-ci-annuncia-futuro-che-77746.htm
-
Serge Tisseron e diritto alla smentita su Conferenza comitato
consultivo Google Parigi (min. 1:05:36)
https://www.google.it/intl/it/advisorycouncil/
-
articolo Luciano Floridi, territorialità
vs
non-territorialità
http://www.theguardian.com/technology/2014/nov/11/right-to-be-forgotten-more-questions-than-answers-google
-previsioni
europee su diritto all’oblio
http://www.repubblica.it/tecnologia/2012/01/25/news/diritto_oblio-28714549/
-Sentenza
Google Spain, causa C-131/12 Mario Costeja Gonzales e AEPD contro
Google Spain e Google Inc.
-caso
Google Spain
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2014-06-23/diritto-oblio-corte-giustizia-110906.php
-diritto
all’oblio art 17 regolamento europeo
http://www.pharmasoft-fea.com/news/pharma-news-ita/119-focus-nuovo-regolamento-europeo-diritto-all-oblio-e-profilazione
-art
17 regolamento europeo
http://register.consilium.europa.eu/doc/srv?l=IT&f=ST%2013619%202014%20INIT
-ripercussioni
caso Google Spain in Italia
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2015-01-08/diritto-oblio-ripercussioni-italia-pronuncia-google-spainprimi-provvedimenti-garante-privacy-100918.php