Il
commento che di qui a poco seguirà nasce con l'intenzione di
inserirsi all'interno della consultazione pubblica aperta sul sito
della Camera dei Deputati e nella piattaforma "Media Civici"
l'8 ottobre 2014, giorno in cui la Commissione per i diritti e i
doveri relativi ad Internet ha varato la bozza di "Dichiarazione
dei diritti di Internet". Questa iniziativa è del tutto
rivoluzionaria, non tanto per aver ravvivato il dibattito su alcuni
temi importanti riguardanti i diritti "di" e "in"
Internet, ma soprattutto perché "nasce
per la prima volta in una sede istituzionale"1
in Italia, non senza critiche sulle modalità di apertura della
consultazione (consentita sulla piattaforma "<ahref" in
cui per poter commentare è necessario registrarsi per poter lasciare
il proprio commento e non sul sito della Camera o della Commissione).
Iniziativa che trae ovviamente spunto dall'esperienza recentissima
brasiliana del "Marco
Civil":
da molti definito una sorta di Costituzione di Internet questo è un
documento che è stato varato nell'aprile dell'anno scorso che
traccia diritti e doveri dell'accesso dei cittadini brasiliani al
Web. Perché questa "corsa" alla ricerca di regole, perché
proprio adesso? La risposta si collega inequivocabilmente al tema
trattato proprio in questo articolo, soprattutto in riferimento alle
"autorità
nazionali e sovranazionali"
che dovrebbero garantire il rispetto dei diritti e doveri e governare
Internet, “il più grande spazio pubblico che l'umanità abbia
conosciuto"2,
secondo principi di trasparenza e accessibilità. Le rivelazioni del
leaker Edward Snowden hanno scoperchiato un calderone di cui tutti,
dalla nascita di Internet e dei suoi organismi di controllo, potevano
immaginare il contenuto: il governo degli Stati Uniti, nei cui
laboratori militari è stato concepito il primissimo embrione del
World Wide Web, non solo gestisce indirettamente i veri e propri
"controllori" del web (ICANN), ma con finalità di
spionaggio ha raccolto indebitamente grandi quantità di dati, anche
attraverso multinazionali come Google e Facebook. La
"de-americanizzazione" di Internet sta alla base
dell'iniziativa brasiliana, italiana e in particolare di questo
articolo che, a mio giudizio, è uno dei più sostanziali e
significativi dell'intera bozza, soprattutto perché la sua struttura
presenta degli evidenti punti di connessione con gli altri articoli
di cui il quattordicesimo è la "chiusa". Del "modello
americano" che ha contraddistinto la nascita e lo sviluppo del
governo di Internet parleremo più approfonditamente in seguito,
prima è necessario spiegare il metodo che si è scelto per
commentare e analizzare questo articolo. Il quattordicesimo punto di
questa Dichiarazione è risultato complesso ed eterogeneo nella sua
composizione ed è per questo motivo che ho preferito strutturarlo in
diversi punti, sette per l'esattezza, per poter articolare in maniera
più precisa e dettagliata, senza rischiare di fare confusione tra i
differenti temi, il commento e la mia proposta di revisione.
-
1. "Ogni
persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti in Rete
sia a livello nazionale che internazionale":
l'incipit del quattordicesimo articolo suona più come un principio
introduttivo, una delle colonne su cui si fonda l'intera
dichiarazione. Il "diritto di vedere riconosciuti i propri
diritti" è un assunto dal chiaro senso rafforzativo: i
cittadini, non esclusivamente italiani, non solo hanno il pieno
riconoscimento di precisi diritti, soggettivi sia chiaro, legati al
loro "stare sul web", ma anche la "pretesa" che i
suddetti vengano riconosciuti e quindi applicati. Per il suo
carattere generale e valoriale, che rende questo "comma",
per l'appunto più vicino ad un "principio" che ad un
articolo vero e proprio, non condivido la scelta del suo
posizionamento all'interno dell'ultimo articolo della bozza.
Deducendo che la volontà della Commissione è chiaramente quella di
adeguare il formato del documento ad uno di tipo europeo ed
internazionale, credo sarebbe stato più adatto inserire tale
capoverso quantomeno nel preambolo3
che precede la lista dei quattordici articoli. Tuttavia, la seconda
parte del "comma" che stiamo analizzano lascia meglio
intuire il perché della scelta di tale posizionamento: il voler
specificare l'ambito di riferimento "nazionale
ed internazionale",
più volte ripetuto, in cui è valido il riconoscimento dei diritti
di Internet si collega a due delle idee ispiratrici di questo
articolo e dell'intera dichiarazione: far sì che l'esperienza
italiana diventi precorritrice in merito al tema trattato, che questa
venga condivisa dalla comunità europea di cui l'Italia fa parte4
e puntare il dito contro le pratiche "transoceaniche", di
cui parleremo in seguito, che finora hanno governato la rete.
Tradotto? "Cari americani, le nostre regole sono anche le
vostre".
-2. "Internet richiede regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale, volte alla piena attuazione dei principi e diritti prima indicati, per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica": ecco che si fa nuovamente riferimento alla dimensione di Internet, non più "nazionale ed internazionale" come nel comma precedente, bensì "universale e sovranazionale", dunque globale e senza alcun particolare riferimento ad ambiti territoriali. Si parla di regole, limiti dunque (e su questo concetto ritorneremo più approfonditamente nel commento del prossimo comma), indirizzati allo scopo pratico di attuazione di principi e diritti della dichiarazione. Fin qui nulla di nuovo rispetto a quanto detto nel precedente commento. Ecco che appaiono però le prime novità: si parla di "carattere aperto e democratico". Il riferimento all'accesso e alla "forma" di governo della rete è dunque spontaneo. La domanda che molti si sono posti, e che ho potuto riscontrare nei forum sul web, nei commenti agli articoli di giornale che hanno trattato l'argomento e, soprattutto, sulla piattaforma di discussione della bozza è la seguente: che senso ha dire che Internet deve essere una dimensione aperta e democratica quando questa lo è già? Le regole fanno paura, soprattutto quando si crede di agire in un contesto libero. Ma è davvero come tutti, o la stragrande maggioranza crede? Internet è libero? A questa fondamentale domanda ha risposto Stefano Rodotà, che oltre ad essere uno dei massimi esperti della materia è anche il presidente della Commissione redattrice della bozza che stiamo analizzando, affermando perentoriamente che "parlare di Rete libera sia una vera stupidaggine". Per spiegare questa affermazione, da me condivisa, è necessario fare un excursus storico e parlare, come avevamo anticipato, del "modello americano" che ha guidato la nascita e lo sviluppo delle corporation che stanno al vertice della gestione della Rete. Salteremo tutto il processo che ha portato dal progetto Arpanet, finanziato dal governo statunitense, al World Wide Web per questioni di sinteticità della trattazione, senza però dimenticare un concetto fondamentale: Internet nasce e cresce in America. Perché è importante partire da questa semplice informazione? Il principale argomento che ha infiammato dagli anni '90 ad oggi il dibattito sulla governance, più che governo, della Rete è stata l'esclusività, celata o meno, della gestione da parte del governo degli Stati Uniti. La titolarità della Rete cominciò a diventare un argomento di interesse generale quando quest'ultima fu aperta alle utilizzazioni commerciali, divenendo disponibile per la fornitura di servizi di comunicazione a pagamento nei confronti della generalità degli utenti. Alla fine del 20esimo secolo, a quasi trent'anni dalla nascita dell'Arpanet, chi realmente controllava il "namespace" e le procedure utilizzate per la gestione della Rete erano ancora avvolte da un alone di mistero5. In seguito a diverse pressioni6, il governo degli Stati Uniti, in particolare il Ntia (National Telecommunication and Information Administration - un'articolazione del Dipartimento del commercio), avviò un consultazione pubblica sui problemi rilevati sulla gestione del Dns (Domain Name System). L'intera procedura consultiva andò avanti non senza critiche, soprattutto sul fatto che l'amministrazione americana continuava ad ignorare le istanze provenienti dagli altri governi che rivendicavano la natura di Internet come risorsa globale, la cui gestione doveva essere dunque oggetto di una discussione a livello internazionale. Al termine delle consultazioni il Ntia pubblicò il cosiddetto Green Paper: documento che affermava l'autorità dell'amministrazione americana sulla radice dei nomi e dei numeri di Internet, pur con qualche apertura nel senso del coinvolgimento degli attori internazionali. A questo documento seguì un ulteriore acceso dibattito sull'assetto istituzionale del controllo della radice di Internet e nei primi di giugno del '98 l'amministrazione statunitense uscì con un altro documento: il White Paper. Questa seconda dichiarazione comunicava l'intenzione del Dipartimento del Commercio di dare formale riconoscimento e supporto a livello internazionale ad una costituenda corporation (poi Icann) senza fini di lucro con la quale il governo avrebbe anche sottoscritto accordi per la gestione dei nomi e degli indirizzi di Internet. Non rimasero in silenzio le corporation che prima di allora avevano detenuto funzioni sia di registry (registro di domini di primo livello) e di registrar (gestione dei sottodomini di primi livello). In particolare Iana e Network Solutions trovarono un accordo fra di loro e la seconda ne sottoscrisse un altro nell'ottobre del '98 con il Dipartimento del Commercio statunitense. Ne susseguì che nella scelta dei primi componenti del board (vertice) dell'Icann si tenne conto del "peso " dei soggetti che avevano formato fin da subito la coalizione dominante (Ibm in testa) nel dibattito che si aprì all'indomani dell'uscita del White Paper. L'accordo tra Iana e Network Solutions e il suo sostanziale recepimento da parte del governo americano avevano spiazzato molti dei gruppi che avevano accolto con favore la pubblicazione del White Paper, che si erano visti tagliati fuori dal processo di istituzione della nuova corporation: da qui la decisione di integrare il board con altri nove membri eletti direttamente dalla "Internet community" (elezione che passò quasi inosservata e più che rivolgersi al "pubblico della rete" venne seguita da esperti e da chi aveva un certo interesse sugli sviluppi della vicenda). Con il "Memorandum of Understanding" si riconobbe infine la funzione di gestione della radice di Internet alla corporation (l'Icann venne ufficialmente riconosciuta nel 1999) appena nata, seppure sotto la supervisione del Dipartimento del commercio americano. Supervisione formale che scomparirà del tutto 10 anni più tardi, con l' "Affirmation of Committents" (2009) che prevede tuttora la sola partecipazione dell'amministrazione statunitense alle attività del Governmental Advisory Committee dell'Icann. Arrivati fin qui la domanda sorge dunque spontanea: con l'ultimo accordo del 2009 si è definitivamente compiuto il distacco tra governo americano e "governo di Internet"? Il "private sector" è l'unico a detenere funzioni di gestione e controllo della radice del web? Nonostante la supervisione del governo sia stata sempre più "informalizzata",la gestione della radice si concretizza ancora nelle Iana functions7 che continuano ad essere esercitate dalla corporation in virtù dello Iana contract8 che conferisce al governo statunitense un "potere di vita o di morte"9 dell'autorità di Icann sulla radice di Internet: senza queste funzioni all'Icann mancherebbe la leva per condizionare gli attori economici al rispetto degli indirizzi elaborati in seno ad essa. Distinte dalle Iana functions sono le funzioni che l'Icann esercita in forza di accordi sottoscritti con il Dipartimento del commercio del governo americano: la corporation adotta provvedimenti puntuali, significativamente incidenti sugli interessi degli operatori e dell'insieme degli utilizzatori di Internet, riguardo allo spazio dei nomi di dominio. Di fatto anche il Memorandum of Understanding10 collegava espressamente il mantenimento del controllo governativo sull'Icann al completamento della transizione delle funzioni di gestione del Dns: in più con l'Affirmation of Committents questo trasferimento è stato infine attuato, configurandosi così un'attribuzione destinata a protrarsi indefinitamente, non essendo più risolutivamente condizionata né sottoposta a termini temporali11. Il coinvolgimento informale del governo americano dopo il Memorandum of Understanding non fa stare dunque tranquilli, ma genera degli interrogativi circa il reale e attuale peso dell'influenza governativa sulla gestione delle risorse e sulle scelte dell'Icann che tuttora risulta ancora molto forte nonostante le smentite registrate più e più volte12. L'organizzazione interna, la sua composizione e il metodo con cui vengono prese le decisioni all'interno dell'Icann (per delega statale) sono gli elementi che giustificano quanto detto nel comma analizzato su una dimensione che impedisca ogni forma di discriminazione e che non dipenda dal potere esercitato da soggetti più forti economicamente: il vertice (Board of Directors) è un organo collegiale la cui composizione rispecchia, secondo complessi meccanismi di nomina (oltre alla tipologia di elezioni e "Internet Community" prima criticati), precisi rapporti di forza tra i diversi portatori di interessi che sono in esso rappresentati; il ruolo dei governi nazionali è ridimensionato di fronte dello stesso board13, situazione che negli anni ha portato più volte a dei picchi di tensione tra il governo degli Stati Uniti e altre autorità nazionali; non essendo riuscito ad applicare un modello né rappresentativo né partecipativo14 nella scelta delle policies interne, l'Icann si è rivolto infine ad un modello "tradizionale" fondato sulla delega delle funzioni da parte di un organo politico, da esercitarsi attraverso procedimenti e mediante decisioni ragionevoli, sindacabili in sede apposita. Situazione attuale? Con gli avvenimenti dei primi dieci anni del 21esimo secolo, l'amministrazione statunitense è così riuscita a riappropriarsi di una risorsa strategica: quella che si è realizzata è una privatizzazione solo "formale" della gestione della radice e delle risorse critiche di Internet che rimane comunque sotto il controllo ultimo del governo statunitense, tutto questo attraverso l'Icann che appare al momento come un'agenzia a metà tra le due tipologie "governativa" e "non governativa"15 i cui effetti dell'attività di regolazione travalicano i confini dell'ordinamento statunitense. Se anche si riuscisse ad inserire la corporation nel sistema di diritto amministrativo statunitense, rimarrebbe infatti irrisolto il problema della sua legittimazione ad adottare provvedimenti regolatori e di gestione puntuale delle risorse direttamente incidenti sui diritti e gli interessi16 di una platea di soggetti di dimensioni e distribuzione geografica globali. No, la Rete non è libera. Sì, servono delle regole, e non dei limiti, che servano a garantire una gestione di Internet secondo principi quanto più democratici. Chi stabilisce e applica queste regole? Ci sarà modo di parlarne nel commento dell'ultimo comma strettamente connesso a questo.
-
3. "La
costruzione di un sistema di regole deve tenere conto dei diversi
livelli territoriali (sovranazionale, nazionale, regionale), delle
opportunità offerte da forme di autoregolamentazione conformi ai
principi indicati, della necessità di salvaguardare la capacità di
innovazione, della molteplicità di soggetti che operano in Rete,
promuovendone il coinvolgimento in forme che garantiscano la
partecipazione diffusa di tutti gli interessati. Le istituzioni
pubbliche adottano strumenti adeguati per garantire questa forma di
partecipazione":
le
regole fanno paura, dicevamo, soprattutto quando si crede di agire in
un contesto libero. Internet, come abbiamo avuto modo di constatare,
non rispecchia a pieno questa caratteristica. I diritti che
quotidianamente esercitiamo su Internet non sono gratuiti come
pensiamo e le attuali forme di governance
hanno
permesso che questi fossero barattati costantemente con nuove forme
di moneta: i dati personali. Le dichiarazioni di Snowden sul possesso
di enormi quantità di dati, acquisiti tramite la Rete, da parte del
governo degli Stati Uniti che li ha usati (e li sta tuttora usando
probabilmente) per fini di spionaggio ha sollevato una grande
questione: le attuali regole nella gestione della Rete non vanno più
bene, ma allo stesso tempo la penetrazione di più soggetti nazionali
di rappresentanza (termine sempre a doppio taglio) potrebbe minare
l'idea stessa di Internet come luogo virtuale aperto, accessibile e
come ecosistema autoregolato al suo interno. Ecco che emerge una
singolare contraddizione: da un lato l'universalità della Rete,
dall'altro discipline, a tutela (così dovrebbe essere) dei diritti,
restrittive e differenziate Stato per Stato. Da questo punto di vista
credo che, insieme al precedente, questo comma sia sicuramente un
pilastro fondamentale dell'intero articolo. Riconosciuta la capacità
di innovazione di cui è inevitabilmente dotato Internet e l'afflusso
costante di una molteplicità di soggetti, è necessario garantire
soprattutto le forme di autoregolamentazione che esistono nello
"stare in Rete": qual è dunque il confine tra
autoregolazione
e
normazione autoritativa? Riconosciuta la dimensione globale di
Internet, così come è affermato anche nel preambolo della
dichiarazione, ha senso di parlare di differenti livelli territoriali
(sovranazionale, nazionale, locale) di un eventuale sistema di
regole? Se sì, fino a che punto? Se no, perché? Premesso che non
può esistere, a mio parere, un'autoregolazione senza regole, è
proprio sulla natura di queste ultime che bisogna riflettere. Le
strade possibili sono due: i soggetti che partecipano alla vita sul
web vengono intesi tutti come privati e si lascia che siano queste
parti negoziali a decidere volta per volta le regole dell'ambito
associativo (self
regulation)
in cui si svolge la negoziazione (non incidendo però su alcun
ordinamento giuridico) o, ed è questa l'ipotesi da me maggiormente
sostenuta, a questa idea va affiancata quella di un istituto che,
mantenendo le distanze dal negozio normativo, rivendichi l'attitudine
a conformare una pluralità astratta e indeterminata di rapporti
intersoggettivi lasciandosi dietro una relatività negoziale
superata, appunto, con l'efficacia generale che è propria del
diritto. Seguendo la seconda ipotesi si realizza l'eteronomia
dell'azione dei soggetti di Internet la cui numerosità e
differenziazione, che sfocia anche nei rapporti negoziali di cui
sopra, non permette né di consentire una totale anarchia17,
né di imporre un'infinità di norme specifiche. Il potere pubblico
definisce dunque i principi e le norme astratte e generali, limitando
a minacciare l'uso della legge se i privati non si autoregolano e non
rispettano le regole autoimposte18.
Non dunque di "opportunità" bisogna parlare, ma di
necessità delle forme di autoregolamentazione su cui va costruito il
sistema di regole cui si riferisce il comma analizzato.
- 4. "In ogni caso, l’innovazione normativa in materia di Internet è sottoposta a valutazione di impatto sull'ecosistema digitale": cosa afferma che le nuove e progressive regole stabilite per la gestione di Internet (il "da chi sono stabilite" sarà affrontato successivamente) abbiano agito nella direzione voluta dal legislatore, rispettato nella loro applicazione i principi di cui sopra, e migliorato le condizioni dello "stare in Rete" all'interno dell'Internet community? Apprezzo molto questo comma sulla "valutazione dell'impatto sull'ecosistema digitale" dell'innovazione normativa che dovrebbe seguire alla suddetta dichiarazione dei diritti. Certo, è a dir poco strano (o incoerente...) che l'Italia si proponga come soggetto "pioniere" della materia in Europa quando a "casa propria" non si riesce a portare avanti un'attività costante, strategica e pianificata di valutazione delle politiche pubbliche (se non in rari casi nei livelli inferiori del decentramento amministrativo: comuni e province), ma questa è, forse, un'altra storia. Credo che accostare la valutazione dell'innovazione normativa di Internet alla valutazione delle politiche pubbliche sia un paragone del tutto lecito visto che le eventuali disposizioni di cui questa dichiarazione si fa annunciatrice sono finalizzate ad una regolamentazione, e dunque trasformazione, di un contesto pubblico quale Internet. Un'analisi costante (quell' "In ogni caso" fa ben sperare...), imparziale (chi effettua la valutazione di una regolamentazione non deve necessariamente coincidere con chi l'ha creata) e informata ( i metodi di questa valutazione sono tutti da definire vista la novità del contesto di Internet come "luogo" in cui si realizzano tipologie di attività e di relazioni differenti dalla dimensione fisica e reale) degli effetti sull' "ecosistema digitale" (si noti che non si fa alcun riferimento alla dimensione territoriale - nazionale o internazionale - di questo ecosistema) è una proposta che trova legittimità e fondamento, soprattutto se si considera che, nonostante il dibattito sempre crescente sui metodi di gestione della Rete, la materia è ancora vergine.
-5.
"La
gestione della Rete deve assicurare il rispetto del principio di
trasparenza, la responsabilità delle decisioni, l’accessibilità
alle informazioni pubbliche, la rappresentanza dei soggetti
interessati":
leggendo
dei commenti sul web a questo articolo ho notato che un fattore di
critica comune fosse dovuto alla ridondanza dei precetti all'interno
della bozza che stiamo analizzando. In effetti quest'altro comma
avrebbe potuto essere inglobato all'interno della prima parte
dell'articolo in cui si parla appunto di principi e diritti.
Tuttavia, come già ampiamente descritto nel secondo comma, è
importante notare come quanto specificato in questo comma rafforzi
ancora una volta la presa di distanza di questa dichiarazione nei
confronti degli attuali detentori del potere di gestione della rete.
Trasparenza, responsabilità, accessibilità e rappresentanza
connotano, al di là delle critiche, forse una delle idee più
importanti che stanno alla base di questa dichiarazione: Internet è
un bene pubblico e deve esserlo non solo nel suo utilizzo, apparente,
ma anche e soprattutto nella sua gestione.
-6.
"L’accesso
ed il riutilizzo dei dati generati e detenuti dal settore pubblico
debbono essere garantiti e potenziati":
ecco,
a proposito di ridondanza: di accessibilità se ne parla già nel
punto precedente. Si accenna al riutilizzo, invece, solamente in
questo comma. A questo punto avrei dedicato un articolo apposito e
più completo all'interno della dichiarazione che in questo modo
appare invece lasciato in sospeso e fuori contesto rispetto
all'argomento trattato nell'articolo. Non si parla infatti di un
diritto alla gestione di Internet da parte del settore pubblico, ma
di un diritto all'accesso e al riutilizzo in relazione a dati creati
e generati, appunto, dallo stesso. Il "garantiti
e potenziati"
lascia intendere la volontà di ampliare quelli che sono i soggetti
abilitati e i dati oggetto di accesso e riutilizzo presumibilmente
anche rispetto alla norma più recente in materia19.
-7.
"La
costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è
indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri
indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove
norme ai principi di questa Dichiarazione:
dopo aver stabilito i principi e annunciato le regole dell'auspicata
gestione di Internet, è fondamentale individuare quali saranno i
soggetti legittimati all'esercizio di questo potere, chi creerà e
valuterà le regole ci cui abbiamo precedentemente parlato. In
un'ottica, personalmente auspicabile, di co-decision
in
cui norme generali lasciano grande margine di manovra alle relazioni
(negoziazioni) private, quali dovrebbero essere, dunque, le autorità
costituite per adempiere a questi doveri di creazione e di gestione
delle nuove regole in materia di Internet? Il comma parla chiaro, ci
si riferisce esplicitamente ad autorità nazionali e sovranazionali
individuando dunque due livelli di potere. La naturale a-spazialità20
della rete rende questa scelta discutibile. Sarebbe sufficiente, ad
esempio, proibire una particolare condotta in uno Stato, se poi altri
Stati l'ammettessero? Questa e molte altre considerazioni sollecitano
ad ipotizzare una regolazione sì sovrana, ma con un'operatività
tale da abbracciare la totalità dello spazio coperto dalla rete
senza lasciare alcuna zona d'ombra. Il popolo di Internet non è
riconducibile a dei confini geografici ben delineati, di conseguenza
la territorialità in Internet risulterà un attributo inutile se non
dannoso dell'ordine giuridico perché impedirebbe alla sua disciplina
quella portata precettiva transfrontaliera che invece dovrebbe
possedere. Di conseguenza se Internet è incompatibile con la
materialità dello spazio fisico, lo sarà anche il suo Legislatore.
A chi la parola "politica" provoca un strano, seppur
giustificato, prurito e sostiene che Internet sia rimasto come
l'ultimo baluardo ancora lontano dalle "contaminazioni del
potere" è necessario rispondere con chiarezza. L'attuale
governance
di Internet non opera scelte di natura esclusivamente "tecnica"
nella gestione della rete, questo per un motivo abbastanza semplice:
in una situazione di scarsità di risorse (si pensi al numero di IP
delimitato e quasi esaurito) la tecnica realizza scopi, ma non
sceglie quali scopi realizzare21
che è un'operazione prettamente politica. I soggetti al momento
titolari di questo potere di selezione sono soggetti privati,
portatori di interessi direttamente coinvolti nel processo
decisionale. Ritornando all'Icann, è necessario sottolineare come
questo si avvalga di poteri che, oltre al fatto dell'imperatività,
sono dotati, di forte esecutorietà. Inoltre è opportuno ricordare
come forme di partecipazione statale e "popolare"
all'interno della gestione di Internet siano state già sperimentate22
ma non con successi rilevanti. Il diritto amministrativo globale
aiuta a delineare il possibile bilanciamento tra pubblico e privato
nella gestione della Rete: la natura sostanzialmente amministrativa
delle funzioni svolte dagli organismi globali pare discendere dalla
capacità dei poteri in questione di incidere direttamente sulla
sfera giuridica dei privati, penetrando negli ordinamenti giuridici
nazionali senza che sia necessario, perché si produca l'effetto
degli atti sulla sfera giuridica privata, l'intermediazione
dell'amministrazione. Si ritorna dunque sulla stessa prospettiva
della co-decision prima citata: un'organizzazione globale avrebbe il
ruolo di affermare un corpo di principi generali che alla fine
sarebbe sfociata nella cosiddetta rule
of law23
globale, capace di imporsi non soltanto rispetto alle amministrazioni
statali nelle decisioni assunte in attuazione delle regole definite
in sede internazionale, ma anche nei confronti delle stesse
organizzazioni globali. Internet potrebbe condurre alla formazione di
una vera e propria giustizia amministrativa globale. Che ruolo
avrebbero gli Stati in un contesto del genere? L'esperienza delle
elezioni via web che hanno portato alla composizione degli organi
dell'Icann si è dimostrata a suo tempo, come già anticipato,
fallimentare e ciò fa intuire quanto, nonostante gli strumenti a
disposizione, una partecipazione dal basso sia ancora da definire
nelle sue modalità. In un contesto di amministrazione globale gli
Stati dovrebbero mantenere il loro esclusivo ruolo di rappresentanza:
da più di un decennio si parla di un trasferimento delle funzioni
dell'Icann in sede all'Onu, ma i rapporti di poter all'interno
dell'organizzazione potrebbero non cambiare lo stato attuale della
governance di Internet che rischierebbe di essere ancora più
politicizzata e controllata. Nel 2012, per esempio, presso un Summit
dell'Itu (International Communication Union) si scontrarono diverse
posizioni: il "partito del controllo" formato da Stati come
Cina, Iran o Russia sosteneva la facoltà concessa a tutti i governi
di avere “eguali
diritti nella gestione di Internet, a cominciare dall’assegnazione
di nomi e di indirizzi”24,
la coalizione occidentale si è espressa a favore della neutralità
del web, mentre gli Stati Uniti, dal canto loro, non hanno voluto
mettere in discussione l'attuale controllo e la garanzia di
indipendenza del net tanto
più che le pressioni in senso contrario non sembrano ispirate dal
desiderio di rendere più democratica la governance
del web, quanto di metterlo sotto il controllo del potere politico.
Per rendere più chiaro il concetto: immaginatevi se in paesi come la
Cina o la Russia, dove esistono già dei "firewall" di
censura o metodi di monitoraggio delle comunicazioni via mail e chat,
fosse data la piena agibilità sulla regolamentazione in materia di
Internet alle rispettive amministrazioni. Il modello che rispecchia
un'amministrazione globale prevede invece che le misure adottate in
sede internazionale di cui è garantita l'indipendenza strutturale,
secondo una procedura ugualmente partecipata, siano immediatamente
destinate a produrre effetti sugli Stati, i quali poi sono chiamati a
tradurle in atti. L'assenza
di confini deve essere l'attributo essenziale del nuovo ordinamento e
non potranno essere né gli Stati o l'Unione di questi il candidato
ideale al ruolo di suo Legislatore, ma la comunità internazionale
nella sua interezza: l'ordine giuridico supremo potrà vantare uno
spazio di sovrapposizione e fusione degli ambiti territoriali dei
singoli Stati in un ordine comune in cui ciascuno ritrovi parte di
sé. Nonostante
questa appaia ancora come un'utopia, è doveroso che, sulla base
delle considerazioni appena fatte, se questa dichiarazione vuole
essere "vessillo" della nuova democrazia in rete, includa
al suo interno i principi dell'amministrazione globale e si lasci
alle spalle tutti quegli strumenti utili al fine di trovare dei
limiti, dei confini a qualcosa che per sua natura ne è sprovvista.
2
Rodotà,
2006
3
Vedi "Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea" (2000) o "Dichiarazione
universale dei diritti umani" (1948).
4
"L’ambizione
è sì quella di fissare dei principi di definizione di alcuni
diritti su Internet, ma soprattutto cercare di stimolare una
discussione che abbia rilevanza transnazionale. Per rendere
possibile tutto ciò, oltre alle consultazioni sul tema già in atto
tra le varie commissioni parlamentari la Camera ha anche preso
contatti con diversi parlamenti stranieri", Rodotà
(http://www.linkiesta.it/stefano-rodota-intervista-carta-diritti-internet).
5
Verbale del meeting dell'Iab del
13 ottobre 1994.
6
Progetto "Postel/Isoc",
Bind e l'apertura di registri alternativi.
7
Coordinamento della gestione della radice del Dns, aggiornamento
continuo delle banche dati contenute nei server radice (root server)
sotto la diretta responsabilità dell'Icann che ha contrattualmente
affidato la relativa attività alla società californiana VeriSign;
ridelegazione dei registri per i nomi di dominio di primo livello,
generici e geografici; ripartizione dei blocchi di indirizzi IP tra
i Regional Internet Registries (Rir) che provvedono a distribuire a
loro volta i Local Internet Registries (Lir).
11
L'Affirmation of Committents non contempla più obblighi di
tempistica, poiché l'amministrazione americana rinunciò ad
esercitare ad una supervisione, che prevedeva rapporti periodici.
12
"Il
fatto che abbiamo sede in California, non significa affatto che
siamo un' emanazione del governo Usa", Paul Twomey a Le Monde.
13
Ne è un esempio il caso della coniazione del dominio ".xxx"
per i siti web con contenuti riservati al pubblico adulto. Il Gac
(Governmental Advisory Committee, organo di "rappresentanza dei
governi nazionali") si espresse positivamente, ma, sebbene
l'introduzione del nuovo dominio non avesse incontrato obiezioni da
parte del Dipartimento del commercio statunitense, il governo
statunitense riuscì ad ottenere che il Gac differisse la decisione
sull'introduzione del nome di dominio.
14
Il fatto che i portatori di interessi di cui è composta
l'organizzazione dell'Icann non si limitino a partecipare al
procedimento, ma abbiano anche propri rappresentanti nell'organo
deputato all'assunzione della decisione, mina l'utilità di un
sistema partecipativo basato sul consensus;
la partecipazione ha determinato un cortocircuito
nell'accountability dell'Icann: il board
doveva rendere conto contemporaneamente ai propri stakeholders, ma
anche alla Internet Community nella sua totalità.
15
Tenuta infatti a rispettare le disposizioni riguardanti le
organizzazioni private e in particolare la legge californiana e
delle norme contenute nel suo statuto, non soggetta ad una procedura
di judicial review e
alla disciplina sul procedimento di regolazione delle agenzie
federali
16
Le decisioni adottate dalla corporation in materia di estensioni
dello spazio dei nomi, di assegnazione delle funzioni di registro,
di accreditamento di registrar, di allocazione ed assegnazione degli
indirizzi IP, di risoluzione delle controversie relative alla
titolarità dei nomi di dominio, di funzionamento dei server dei
nomi e dei meccanismi di risoluzione dei nomi di dominio nei
corrispettivi indirizzi IP ha degli enormi effetti sull'iniziativa
economica privata, sull'assetto generale dei diversi segmenti dei
mercati dell'accesso ai servizi di telecomunicazione e
sull'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, del
diritto di cronaca, della libertà di riunione etc.
17
"La self-regulation
consente la prevalsa di soggetti più forti nei confronti di quelli
più deboli e per la sua natura negoziale nega la forza cogente
della legge, privando di ogni efficacia punitiva le sue già deboli
sanzioni". G. De
Minico, "Internet
e le sue fonti"
(2013)
19
Direttiva 37/2013 dell'UE in
materia di accesso e riutilizzo.
20
"La funzione primaria
assolta dal territorio è quella di fotografare l'ambito soggettivo
dei regolati", G. De Minico (2013)
23
Eguale sottoposizione alla legge
di tutti i soggetti di diritto e la disponibilità dei rimedi
giurisdizionali a tutela delle libertà e dei diritti dei cittadini.
24
http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2012/12/17/news/internet_la_battaglia_della_governance-48908943/?ref=search
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