Commento a
cura di Federica Gorgone
Introduzione
Tra
gli strumenti che hanno portato la nostra società ad evolversi è
possibile affermare senza alcun dubbio che la nascita di internet
abbia svolto un ruolo fondamentale. L'introduzione della rete ha
infatti portato numerose novità nella vita privata di ognuno di noi
ed anche in quella pubblica, rivoluzionando il modo di comunicare, di
interagire e di accedere alle informazioni. Agendo da "facilitatore",
internet, ha consentito inoltre di oltrepassare facilmente i limiti
spazio-temporali. L'inserimento di internet nella vita quotidiana
insomma contribuisce fortemente all' «intensificazione
di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località
distanti, facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli
eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e
viceversa»1.
Il Web è divenuto quindi ad oggi il perno centrale della maggior
parte delle attività con forte rilevanza sociale. In questi termini
ed in una società in continua evoluzione verso il fenomeno del
"digitale" sembra quasi scontato affermare che chiunque
dovrebbe avere il diritto di poter accedere alla rete e che in caso
contrario, andrebbe incontro ad emarginazione sociale ed a grandi
limitazioni. E' possibile vedere allora internet come diritto sociale
e quindi da annoverare fra i diritti fondamentali? A cosa si va
incontro tenendo in considerazione questa ipotesi? In realtà la
questione è molto più complessa di quanto sembra, in quanto fino ad
ora l'accesso alla rete sembra non essere stato tutelato in termini
giuridici come realmente dovrebbe, o almeno non in tutti i paesi.
Essi infatti hanno inteso l'accesso alla rete in maniera differente,
dandovi spesso una rilevanza marginale. Questa breve parte
introduttiva mi è necessaria per poter comprendere al meglio il
motivo per cui oggi anche l'Italia (con un po' di ritardo rispetto ad
altre nazioni) ha avvertito l'esigenza di introdurre una
"Dichiarazione dei diritti di internet" (ancora in Bozza)
come strumento indispensabile per dare fondamento costituzionale ai
diritti in rete e con l'obiettivo di tutelare il cittadino in quanto,
utilizzando un termine di Luca Sartori , "indigeno digitale".
Il Bill of Rights italiano di cui stiamo parlando consta di
quattordici punti ed è stato presentato di recente (l'8 Ottobre
2014) dal presidente della Camera Laura Boldrini che commenta la
presentazione di quest'ultima affermando che: "Considerare
Internet uno dei vari media è riduttivo e improprio. Internet è
molto di più, è una dimensione essenziale per il presente e il
futuro delle nostre società; una dimensione diventata in poco tempo
un immenso spazio di libertà, di crescita, di scambio e di
conoscenza"2.
L'idea
della Magna Charta italiana dei diritti sul web nasce dalla
commissione presieduta dal giurista Stefano Rodotà e si inserisce
nel dibattito globale che vede nel Marco Civil3
brasiliano la primissima presa di posizione in materia di diritti in
rete. Nello specifico ciò che interessa a noi in questo momento è
soffermarci a commentare ed analizzare l'articolo 2 della Bozza di
Dichiarazione dei diritti fondamentali in internet, che risulta
essere il fulcro su cui ruota l'intera bozza legislativa: il diritto
di accesso alla rete. L'idea è inoltre quella di porre quest'ultimo
in relazione al contesto giuridico nazionale ed internazionale
cercando di capirne l'essenza e la rilevanza giuridica attribuitagli.
L'Italia
dell'innovazione: il diritto d'accesso alla rete come diritto
fondamentale
E'
bene affermare che l'articolo 2 della dichiarazione dei diritti in
internet intende l'accesso al web come precondizione necessaria ed
irrinunciabile per l'esercizio di ogni altro diritto fondamentale.
Cerchiamo di capire bene cosa si intende affermare, guardandolo più
da vicino. L'articolo in questione recita così: «Ogni
persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di
parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che
rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.
Il
diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei
suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di
collegamento alla Rete.
L’accesso
comprende la libertà di scelta per quanto riguarda sistemi
operativi, software e applicazioni.
L’effettiva
tutela del diritto di accesso esige adeguati interventi pubblici per
il superamento di ogni forma di divario digitale – culturale,
infrastrutturale, economico – con particolare riferimento
all’accessibilità delle persone con disabilità»4.Il
primo comma racchiude in sé l'essenza dell'intero articolo,
focalizzando l'attenzione sul diritto all'eguaglianza nell'accedere
alla rete. La commissione che sta lavorando alla bozza riprende qui
un diritto, quello dell'eguaglianza formale e sostanziale, già
ampiamente tutelato in termini generali dalla Costituzione5
nell'articolo 3. La novità però è che il suddetto è messo in
relazione al mondo digitale, intendendo l'effettiva possibilità per
tutti e in ogni caso di accedere ad internet in condizioni di parità.
L'idea è infatti quella di rendere pari a zero le disuguagliante in
rete tra abbienti e meno abbienti, uomini e donne, chi ha già alte
conoscenze dell'utilizzo del Web e chi non le ha, tra chi ha una
disabilità e chi è normodotato. Fin qui l'idea di tutelare
l'eguaglianza in rete sembra un principio altamente considerevole e
meritevole di interesse giuridico. Ci si domanda allora se (e per
quale motivo) fino ad oggi sia realmente mancata la tutela di
questo diritto, ponendo il contesto giuridico italiano in relazione a
quello internazionale. Infatti, in realtà, il concetto di
eguaglianza nell'accesso alla rete non è nuovo nel dibattito
giuridico globale. Tuttavia non poche sono le controversie in merito,
non soltanto a livello europeo ma a livello mondiale. A tal proposito
fanno riflettere le recenti dichiarazioni di Vinton Cerf, apparse sul
New York Times: «sarebbe
un errore far rientrare la tecnologia nella categoria dei diritti
fondamentali ad esempio un tempo se non si possedeva un cavallo era
difficile guadagnarsi da vivere, ma l’importante era il diritto di
guadagnarsi da vivere, non il diritto ad un cavallo. Oggi se mi fosse
garantito il diritto ad avere un cavallo, non saprei dove metterlo»6.
A livello sovranazionale, le Nazioni Unite hanno posto particolare
attenzione al Web, tutelando espressamente il diritto alla rete in
quanto diritto fondamentale dell'uomo. Così nell'articolo 19 della
"Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo e del cittadino"
possiamo veder attribuita alla rete: «una
forza nell’accelerazione del progresso verso lo sviluppo nelle sue
varie forme» ed ancora esplicita richiesta a tutti gli stati membri
«di promuovere e facilitare l’accesso a Internet». L'idea è
quella di riconoscere espressamente ad internet un ruolo fondamentale
come mezzo per far sì che il cittadino si affermi nella società
odierna e quindi meritevole di garanzie giuridiche.
Nel 2006 le stesse Nazioni Unite hanno posto in rilievo l'accesso da
parte dei soggetti con disabilità ai sistemi di informazione e di
comunicazione (ICT) , in particolar modo ad Internet, invitando gli
enti ed i mezzi di comunicazione di massa, che operano attraverso
tali strumenti, a renderli quanto più facilmente accessibili a tali
soggetti senza discriminazione alcuna.
Punto che vediamo ripreso anche nell'articolo 2 nella bozza della
"Dichiarazione dei diritti in internet" che stiamo
esaminando ma che comunque non risulta essere nuovo neppure
all'interno del dibattito pubblico italiano. Infatti già nel 2004
Antonio Palmieri (oggi membro della commissione che sta lavorando
alla bozza della dichiarazione dei diritti in internet ed attento
sostenitore dell'articolo 2) si fece promotore della cosiddetta
"Legge Stanca"7
(legge 4/2004) che conteneva disposizioni per favorire l'accesso dei
soggetti portatori di handicap sensoriali agli strumenti informatici
e comprendeva numerosi altri temi inerenti all'accessibilità delle
ICT. La legge all'ora fu molto innovativa, in quanto l'Italia era ben
lontana dall'idea di un accesso alla rete come diritto. Tuttavia
purtroppo la "Legge Stanca" non fu mai totalmente
applicata, rimanendo congelata fino alla fine del 2012. Ad ogni
modo, procedendo con il nostro confronto tra il caso italiano e
quello sovranazionale, ancora una volta, notiamo come a farsi
promotrici di istanze cui sembra riferirsi l'art.2 (se pur in maniera
implicita) siano le Nazioni Unite che nella "Dichiarazione dei
diritti dei popoli indigeni" approvata nel 2007 sottolineano
l'importanza dell'eguaglianza nell'accesso alla rete. Infatti è
qui previsto il diritto per i popoli indigeni ad avere accesso a
tutte le forme mediatiche non indigene senza discriminazione
(compreso internet).
E'
possibile comunque andare oltre i confini europei per vedere come
l'idea dell'accesso alla rete come diritto sia stato ampiamente
discusso anche in altre legislazioni che hanno dato il buon esempio
tracciandone la via maestra. E' il caso del Brasile che, come già
detto all'inizio di questo elaborato, tramite il Marco Civil ha
disciplinato l'accesso al web. Possiamo notare delle analogie tra
quanto ritroviamo in esso in riferimento al diritto d'accesso in rete
e quanto esplicitato dall'articolo 2 della Bill of rights italiana:
“L'accesso
ad internet è essenziale all’esercizio dei diritti di
cittadinanza”, si legge nell’articolo sette della magna
charta
brasiliana che successivamente prosegue elencando alcuni diritti
fondamentali dei quali nessun utente della rete deve, in alcun caso,
poter essere privato se non per ordine della sola autorità
giudiziaria (in casi straordinari) - e non di una qualsiasi autorità
amministrativa come avviene in Italia, sulla base di un’espressa
previsione di legge - e non di un qualsiasi regolamento e/o atto
amministrativo, come è spesso avvenuto in Italia.
A partire da
tali atti internazionali insomma si può dedurre che l'idea di veder
garantito l'accesso alla rete in maniera eguale a tutti gli
individui, comprese minoranze e categorie svantaggiate oltre ad non
essere nuova nel dibattito giuridico globale è, a mio avviso, nella
società odierna una condicio sine qua non. Nella società di oggi
insomma la tutela di questo diritto risulta un elemento
imprescindibile per garantire l'integrazione sociale di ogni essere
umano e la sua realizzazione nella società. E' possibile così
notare un certo interesse, almeno negli ultimi anni, in tutta Europa
verso il diritto d'accesso al web uguale per tutti, tanto da poter
fare riferimento ad alcuni casi di eccellenza (tra cui purtroppo non
figura l'Italia) nella tutela di quest'ultimo. Ricordiamo ad esempio
l'Estonia in cui il Telecommunications Act del febbraio del 2000 ha
inserito l'accesso alla rete al novero degli obblighi in quanto
servizio universale promettendo di eliminare qualsiasi forma di
discriminazione digitale; la Spagna che nel marzo del 2011 ha,
attraverso l'art. 52 della Legge n.2, istituito la banda larga come
obbligo da assicurarsi con l'utilizzo di qualsiasi tecnologia
indipendentemente dalla disponibilità di infrastrutture fisse; la
Finlandia (primo paese nel mondo che ha riconosciuto la connessione
ad internet a banda larga) con la specifica disciplina che qualifica
espressamente l'accesso ad internet come diritto legale da garantire
a tutti i cittadini; la Francia, dove la décision n.
2009-580 DC- 10 giugno 2009 del Conseil
constitutionnel francese ha
affermato che la connessione a Internet è un diritto fondamentale
del cittadino e che nessuna autorità può essere in grado di
limitarlo e la Grecia che nel 2001 ha modificato la costituzione
nazionale introducendo l'articolo 5-bis, il quale afferma che: «Tutte
le persone hanno il diritto di partecipare alla società
dell’informazione, facilitandone l’accesso alle informazioni
trasmesse elettronicamente, così come il diritto di produrre,
scambiare e diffondere informazioni mediante mezzi elettronici
costituisce un obbligo dello Stato, nel rispetto delle garanzie degli
art. 9 e19 della Costituzione»
.
L'Italia sembra oggi con l'articolo 2 della dichiarazione dei diritti in internet essersi resa conto della rilevanza giuridica dell'eguaglianza nell'accesso alla rete decidendo di inserirsi nel dibattito giuridico già avviato da alcuni anni, che vede il diritto d'accesso alla rete come diritto sociale e fondamentale dell'uomo in quanto tale. Il diritto d'accesso tanto caro a Stefano Rodotà, ex garante della privacy, è posto in cima alla lista degli obiettivi da raggiungere il prima possibile tanto da trovarlo come secondo punto nella dichiarazione dei diritti internet, subito dopo i principi generali.
L'Italia sembra oggi con l'articolo 2 della dichiarazione dei diritti in internet essersi resa conto della rilevanza giuridica dell'eguaglianza nell'accesso alla rete decidendo di inserirsi nel dibattito giuridico già avviato da alcuni anni, che vede il diritto d'accesso alla rete come diritto sociale e fondamentale dell'uomo in quanto tale. Il diritto d'accesso tanto caro a Stefano Rodotà, ex garante della privacy, è posto in cima alla lista degli obiettivi da raggiungere il prima possibile tanto da trovarlo come secondo punto nella dichiarazione dei diritti internet, subito dopo i principi generali.
Il
diritto d'accesso alla rete: punti di forza e debolezza della bozza
Abbiamo
fino ad ora delineato brevemente il quadro giuridico generale in cui
si inserisce l'idea del diritto d'accesso alla rete come diritto
fondamentale, ponendo particolare attenzione a ciò che probabilmente
sono state le fonti di ispirazione per l'attuale modello italiano in
riferimento all'articolo due. Ci si vuole adesso soffermare su
quelli che sono, a mio avviso, i possibili punti di forza e i punti
di debolezza di tale proposta. Come è stato più volte messo in
risalto fin dall'inizio di questo elaborato in merito al diritto di
accesso al web in condizioni di eguaglianza, tale proposta risulta
essere un grande passo in avanti per l'Italia che si sta muovendo,
seppur lentamente, verso un ampio processo di digitalizzazione in
cui il cittadino è cittadino digitale e trova proprio nell'accesso
alla rete la propria realizzazione. Il principio ispiratore
dell'articolo 2 della dichiarazione dei diritti in internet quindi è,
oltre che innovativo per il nostro paese, attuale e meritevole di
interesse giuridico. Per quanto riguarda l'aspetto contenutistico
generale dell'articolo penso che non vi sia la necessità di porre
alcuna critica in quanto sembra essere abbastanza completo. Concordo
inoltre con l'idea avuta dai giuristi italiani promotori di tale
proposta nel vedere il diritto d'accesso in internet come condizione
essenziale per esercitare anche altri diritti, primo fra tutti ,a mio
avviso, quello della partecipazione democratica. Riprendendo le
parole di Rifkin, in sintesi : «[..]in
un mondo sempre più imperniato su reti economiche e sociali mediate
elettronicamente, il diritto di non essere esclusi – il diritto
all’accesso – acquisisce un’importanza crescente. I paradigmi
dell’inclusione e dell’accesso hanno ormai sostituito quelli di
autonomia e possesso, caratterizzanti il concetto di proprietà in
senso tradizionale: nella economia delle reti si va verso un concetto
di proprietà non più inteso come potere di escludere gli altri dal
godimento del bene proprio bensì come diritto di non essere esclusi
dal godimento delle risorse accumulate dalla società»8.
Il merito più grande da riconoscere all'articolo 2 è , secondo il
mio parere, quello di porre sotto i riflettori un argomento
interessante ed odierno, un diritto che fino a questo momento non ha
trovato concreta attuazione, spingendo l'intera popolazione ad un
dibattito altamente stimolante in materia (si pensi ad esempio alla
piattaforma online messa a disposizione dei cittadini per poter
attivamente commentare i quattordici punti della dichiarazione e
poterne proporre di nuovi) . Nella formulazione dell'articolo però è
possibile, a mio avviso, trovare alcune pecche. Risulta ambigua ad
esempio l'idea di intendere la norma davvero rivolta a chiunque, ad
esempio questo principio vale anche per i detenuti o possibili
soggetti pericolosi? Bisognerebbe in questo caso aggiungere alla
norma un comma riferito alla possibilità di prevedere delle
restrizioni in casi eccezionali previsti dalla legge. Un altro punto
ambiguo dell'articolo secondo me è quello che riguarda le modalità
tecnologicamente adeguate ed aggiornate. Qual è il parametro secondo
cui una modalità tecnologica è da considerarsi aggiornata? E quando
si parla di adeguamento, rispetto a cosa? Anche per quanto riguarda
la libertà di scelta in riferimento ai sistemi operativi, software e
applicazioni nutro qualche dubbio. Mi domando come i cittadini ( si
pensi soprattutto a coloro i quali non hanno dimestichezza con le
nuove tecnologie) possano realmente conoscere tutte le potenziali
opportunità di scelta che il web mette loro a disposizione e fare
quindi una scelta consapevole. In che modo essi sono guidati nella
scelta? Chi coadiuva il cittadino? Quali strumenti sono messi a
disposizione di quest'ultimo?
Tramite
un'attenta analisi inoltre, ho potuto verificare che anche sul web
non sono mancate le critiche e le perplessità in merito a questo
articolo, ritenendolo fortemente ridondante e controproducente.
Secondo
un articolo del "Corriere delle comunicazioni" in cui mi
sono imbattuta, ad esempio, l'Istituto Bruno Leoni (uno dei maggiori
centri di studi italiano) ha bocciato l'intera Dichiarazione dei
diritti in internet proposta dalla commissione parlamentare italiana,
compreso l'articolo 2 di cui abbiamo fino ad ora parlato. A tal
proposito si legge: "[... ]Non si vede perché mai il diritto di
accedere a Internet in condizioni di uguaglianza e parità, non
dovrebbe essere protetto dal già esistente diritto al pieno sviluppo
della persona umana e all’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
paese di cui all’articolo 3 della Costituzione, indipendentemente
che si tratti di accesso a internet o meno"9.
In sintesi secondo l'Istituto in questione la dichiarazione dei
diritti in internet risulterebbe inutile perché i diritti cui essa
fa riferimento sono già coperti da garanzia costituzionale. Ma è
davvero così? In riferimento all'articolo 2 che abbiamo fino ad ora
analizzato è possibile sollevare a mio avviso alcune questioni. Se è
pur vero che l'articolo in linea di principio sembra accostarsi
all'articolo 3 della costituzione, come
sostiene l'Istituto Bruno Leoni,
secondo cui "Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" ed "È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese"10,
ciò non basta secondo me, per poter affermare che l'articolo 2 sia
già pienamente in esso tutelato. Sorge spontanea una domanda allora:
come può dirsi protetto il diritto d'accesso alla rete, se
nell'articolo sopra citato non è neppure considerata espressamente
l'idea di Internet in condizione di eguaglianza? Manca a mio avviso
infatti nella costituzione un chiaro riferimento all'accesso alla
rete in condizioni paritarie qualificando tale diritto come strumento
fondamentale per la realizzazione di un' eguaglianza non sono formale
ma anche sostanziale di tutti i cittadini. Inoltre,
nell'articolo proposto nella dichiarazione dei diritti in internet si
legge che: "L’effettiva
tutela del diritto di accesso esige adeguati interventi pubblici per
il superamento di ogni forma di divario digitale – culturale,
infrastrutturale, economico – con particolare riferimento
all’accessibilità delle persone con disabilità". Vi è in
questo caso un esplicito riferimento agli interventi statali come
garanzia del diritto d'accesso alla rete per tutti (definiti infatti
"adeguati") anche ai soggetti portatori di handicap. Lo
Stato insomma secondo l'art.2 della bozza della dichiarazione diventa
garante a tutti gli effetti dell'accesso alla rete in condizioni di
parità e deve adoperarsi in maniera concreta nel rimuovere tutti gli
ostacoli che non consentono di superare il digital divide.
Un'obiezione che possiamo fare a questo punto in merito a quanto
detto dall'Istituto Bruno Leoni è che nell'art. 3 della Costituzione
(che loro sostengano basti come garanzia e protezione del diritto di
accedere a Internet in condizioni di uguaglianza e parità) non
essendoci alcun riferimento esplicito all'eguaglianza nell'accesso
alla rete manchi anche un riferimento a chi debba occuparsi in
maniera sostanziale di tale eguaglianza, ovvero lo Stato. Se
è pur vero che in linea di principio sembra quasi scontato pensare
che debba essere proprio tale istituzione a fare da garante dei
diritti di cui gode il cittadino, considerando che l'accesso alla
rete debba essere inteso come un diritto a tutti gli effetti si sente
l'esigenza allora di un esplicito riferimento normativo riguardo le
funzioni di garanzia statali.
Volendo
considerare il diritto d'accesso ad internet in senso formale come
strumento fondamentale per far sì che l'individuo possa realizzare
se stesso e le proprie libertà di manifestazione di pensiero,
l'Istituto Leoni si esprime sostenendo che tale libertà siano già
espresse nell'art. 21 della Costituzione secondo cui "tutti
hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione"11
per cui è già applicabile anche alla rete nonostante non vi sia un
esplicito riferimento. A mio avviso, in questo caso potrebbe bastare
in linea generale il termine "ogni altro mezzo"
intendendolo già come comprensivo anche della rete ma non guasta
ugualmente un esplicito riferimento normativo che indichi il web come
strumento necessario per la realizzazione di tali libertà nell'era
odierna del "digitale". Il mio non è un pensiero nuovo,
cercando in rete infatti è possibile imbattersi nelle numerose
proposte di reinterpretazione proprio dell'art.21 della Costituzione
che hanno come obiettivo quello di estendere al web garanzie
costituzionali. Faccio in questo caso riferimento al cosiddetto
art.21-bis che mira a ribadire fortemente ed espandere i principi
costituzionali riguardanti l'eguaglianza e l'apertura verso il
diritto d'accesso ad Internet che vanno a rafforzare, seppur in modo
indiretto, anche il principio di neutralità della rete ( che
possiamo trovare tra gli articoli della bozza della Dichiarazione dei
diritti in internet) e l'idea secondo cui l'accesso alla rete debba
essere garantito in quanto bene comune. Proprio per tale motivo
ritorniamo a sentire secondo me la necessità di affermare le
numerose responsabilità dello stato nel garantire l'accesso al web
come precondizione della cittadinanza digitale e quindi in senso più
ampio della stessa democrazia, cenno che manca tra i principi
costituzionali in riferimento alla rete.
Dal
punto di vista sostanziale, potendo intendere il diritto d'accesso al
web come "diritto sociale" l'Istituto sostiene che esso sia
già stato ampiamente discusso dal Parlamento europeo in modo chiaro
come ad esempio nella Risoluzione del 10 aprile 2008 che
ha spinto gli Stati membri a «riconoscere
che internet è una vasta piattaforma per l’espressione culturale,
l’accesso alla conoscenza e la partecipazione democratica alla
creatività europea, che crea dei ponti tra generazioni nella società
dell’informazione, e, conseguentemente, a evitare l’adozione di
misure contrarie ai diritti dell’uomo, ai diritti civili e ai
principi di proporzionalità, di efficacia e di dissuasione, come
l’interruzione all’accesso a Internet»12
e
nella Raccomandazione di marzo 2010 mirata a raggiungere il Consiglio
sul "rafforzamento della sicurezza e delle libertà fondamentali
su internet" con cui si è affermato che l'accesso ad internet è
necessario per garantire la libertà di espressione e che
rappresenta una grande opportunità per rafforzare la cittadinanza
attiva". In realtà a mio avviso poiché possiamo vedere il
diritto d'accesso ad internet come una pretesa soggettiva a
prestazioni pubbliche al pari di istruzione e sanità, oltre a queste
discussioni vi è la necessità di chiari ed espliciti riferimenti
normativi (che possiamo trovare all'interno della proposta della
dichiarazione dei diritti in internet) che vedano le istituzioni
nazionali come fondamentali nel garantire l'accesso alla rete eguale
per tutti i cittadini in modo sostanziale tramite investimenti e
politiche mirate. Non dobbiamo dimenticare infatti che oggi la
cittadinanza è digitale
e che per tale motivo si sente l'esigenza dell'accesso ad internet
come diritto sociale effettivamente tutelato di cui la Repubblica
deve assicurare a tutti la fruizione.
In
sintesi, da quanto detto fino ad ora emerge con chiarezza il mio
sguardo per lo più critico nei confronti di quanto affermato
dall'Istituto Bruno Leoni. La dichiarazione dei diritti in internet
potrebbe essere insomma (contrariamente al pensiero dell'Istituto)
una chiara e valida fonte ispiratrice di riforme costituzionali degli
stessi articoli di cui quest'ultimo afferma la pertinenza in materia
di accesso ad internet. Dobbiamo acquisire infatti a mio avviso la
consapevolezza che la rete spinge ad una logica costituzionale nuova
che si adatti all'era della digitalizzazione e che vi sia l'esigenza
di una dichiarazione dei diritti in internet e nello specifico di un
articolo sull'accesso al web in condizioni di parità.
Parità
ed eguaglianza nell'accesso: utopia o realtà?
L'ultimo
punto, non meno importante di quanto abbiamo detto fino a questo
momento, su cui vorrei soffermarmi è quello inerente alla reale
attuazione dell'articolo di cui abbiamo discusso. Alla luce di
quanto detto fin dall'inizio di questo commento, sorge spontanea una
riflessione: il rispetto del principio di eguaglianza nell'accesso
alla rete consentirebbe davvero di superare il ritardo strutturale e
culturale (legato all'analfabetismo informatico) del nostro paese? O
meglio, guardando l'attuazione di questo diritto da un altro punto di
vista: come l'Italia può assicurare il diritto fondamentale di
accesso ad internet nei suoi presupposti sostanziali azzerando
fenomeni (quali il digital divide) se i mezzi a propria disposizione
risultano tutt'oggi obsoleti e/o mal gestiti? Nell'articolo 2 è
richiesta la supervisione delle istituzioni nel ridurre il divario
digitale fra gli "information rich" e gli "information
poor" in maniera non soltanto formale ma sostanziale. Le
istituzioni cioè devono effettivamente farsi promotrici
dell'eguaglianza nell'accesso alla rete a cominciare dalla
distribuzione di dotazioni necessarie per connettersi al Web fino al
superamento delle disparità a livello sociale. Per tale motivo
quindi si sente l'esigenza di colmare il divario culturale (tramite
l'educazione alla rete di cui non ci soffermeremo a parlare perché
già affrontata dall'articolo 13 "Diritto all'educazione"
della dichiarazione dei diritti in internet) ed anche quello
digitale. Ma come il nostro paese può realmente tutelare il
cittadino? C'è da domandarsi allora se questa tendenza a riconoscere
il diritto alla rete sia accompagnata da un evoluzione in campo
digitale per l'intero paese o se considerare la tutela e l'attuazione
di questo diritto, come un'utopia, solo in senso formale.
A
riguardo di quest'ultimo punto sono alquanto scettica, la
realizzazione in termini sostanziali di tale diritto risulta, ad
oggi, secondo me difficile in Italia. A dar voce ai miei pensieri
e a confermare i miei sospetti è stata la lettura di
un'interessante ricerca condotta dell'Ocse in cui è stato posto in
evidenza il grandissimo ritardo tecnologico del nostro paese. In
particolare l'indagine in questione ha rilevato una posizione
arretrata dell'Italia in riferimento alla banda larga. Con quali
strumenti allora il nostro caro paese può realmente garantire
l'attuazione del diritto d'accesso al web eguale per tutti? A questo
quesito purtroppo non so dare risposta, e a tal proposito nutro più
dubbi che certezze, lascio quindi aperta la questione ed invito i
lettori di questo commento ad una riflessione sull'argomento.
1
Il costituzionalismo del Novecento, Roma-Bari, 2000, p.252 e ss.
2
http://www.camera.it/leg17/1179
3
http://en.wikipedia.org/wiki/Brazilian_Civil_Rights_Framework_for_the_Internet
4
http://camera.civi.ci/discussion/proposals/partecipa_alla_consultazione_pubblica_bill_of_rights
5
Art. 3 della Costituzione : Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti ala
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
(http://www.governo.it/Governo/Costituzione/principi.html)
6
Editoriale del New York Times del 4 gennaio 2012.
7
Testo legge 4/2004 http://www.camera.it/parlam/leggi/04004l.htm
8
http://www.confronticostituzionali.eu/?p=756
9
http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc/32115_magna-charta-di-internet-l-affondo-di-ibl-la-politica-lasci-stare-la-rete.htm
10
http://www.governo.it/Governo/Costituzione/principi.html
11
https://www.senato.it/1025?sezione=120&articolo_numero_articolo=21
12
http://www.confronticostituzionali.eu
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