martedì 17 febbraio 2015

Arrticolo 9 - Anonimato

commento di Francesca Baiocchi

Trattando un argomento, tanto ampio e complesso quanto fluido e ricco di contraddizioni, come quello dell’anonimato, è necessario soffermarsi su alcune premesse delle quali non possiamo non tenere conto se il nostro obiettivo è quello di comprendere meglio il contesto di partenza della nostra analisi.
Innanzi tutto è opportuno chiarire in che modo l’introduzione dei nuovi media ha sconvolto il precedente assetto comunicativo, che trovava la propria giustificazione e realizzazione tecnica attorno ad una divisione netta e precisa tra comunicazione pubblica e privata; all’interno dello scenario dei media tradizionali, questa scelta accompagnava due importanti conseguenze: la garanzia della segretezza delle comunicazioni private e delle fonti di informazione e, conseguentemente, l’assunzione di una certa responsabilità nell’ambito delle comunicazioni pubbliche. Il soggetto che operava questa scelta era consapevole di poter contare, a seconda del tipo di comunicazione, su due regimi di tutela differenti. Con l’espandersi dei nuovi media è andata via via perdendosi quella linea di demarcazione appena accennata. Essi hanno favorito la proliferazione di un numero potenzialmente infinito di spazi in cui questa distinzione fatica ad emergere; il fatto che un contenuto possa essere condiviso all’interno di una comunità di utenti, anche molto estesa, non significa necessariamente che il suddetto contenuto sia fruibile alla generalità della cittadinanza1. E’ perciò plausibile la rivendicazione di un trattamento diverso in relazione a contesti comunicativi differenti. Se tali contesti potessero essere delimitati senza opacità.
In presenza, dunque, di una mancanza, più o meno totale, di protezione per quanto concerne le comunicazioni private, quanto è ragionevole pretendere un obbligo all’identificazione nell’ambito pubblico2? La risposta pare essere negativa e non priva di contraddizioni.
Chiarite queste brevi premesse, è inevitabile chiederci: esiste un reale e riconosciuto diritto all’anonimato?
Attualmente, la Costituzione Italiana non prevede espressamente alcun riferimento specifico al diritto in questione; sono tuttavia rintracciabili, all’interno della Direttiva 95/46/CE e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, numerosi riferimenti indiretti, mediati cioè dalla tutela di altri diritti appartenenti alla sfera individuale. In questo senso, è utile rifarsi ai contesti che hanno caratterizzato e reso diversi nel bilanciamento dei diritti, gli Stati Uniti e l’Europa; in entrambi è presente una c.d. tutela dell’anonimato, tuttavia, questo principio è penetrato nel tessuto normativo battendo strade diverse. Negli Stati Uniti esso rappresenta, insieme a network anonimi come TOR, il principale strumento di salvaguardia della libertà di espressione e manifestazione del proprio pensiero, tutelata giuridicamente dal Primo Emendamento della Costituzione. “… esso realizzerebbe il sogno dell’identità postmoderna, consentendo a ciascuno di sfuggire alle gabbie della propria “biografia”, costruendo un’identità fluida, à la carte, plasmata su un io desiderato e libero da tutti i vincoli e le convenzioni sociali circa il modo di apparire3. Non solo. L’anonimato può offrire numerosi benefici anche all’autonomia dei gruppi; consentendo alle minoranze di esprimere le proprie critiche e organizzare forme di mobilitazione altrimenti impossibili, inciderebbe positivamente sulla partecipazione politica e, perciò, sulla redistribuzione sociale4. In Italia, viceversa, questo principio è entrato a far parte del nostro ordinamento in quanto protezione del diritto alla Privacy, o meglio, necessario alla protezione dei dati personali e alla volontà del singolo individuo di celare alla dimensione pubblica tutte quelle informazioni attinenti la propria identità e che lo caratterizzano in maniera univoca. Potenzialmente infinite, tuttavia, possono essere le utilità derivanti dall’utilizzo di uno strumento come l’anonimato. Esso è indubbiamente funzionale al mantenimento della nostra corretta identità, proteggendola da furti, intrusioni illecite, accessi abusivi, molestie pubbliche quanto private5, ed è altresì indispensabile per mantenere intatta la nostra reputazione, quale estensione della nostra identità all’interno dello spazio pubblico. Un esempio, in tal senso, è rappresentato dagli ormai noti casi di diffamazione online, in cui “… il diritto all’anonimato, normalmente connesso con il diritto di manifestare il pensiero …, soccombe al diritto al rispetto della reputazione e dell’onore altrui6.
Non è difficile, inoltre, che accada di trovarsi in situazioni in cui, il diritto all’anonimato ceda nei confronti di alcuni diritti patrimoniali, come nel caso, appena accennato, di attacchi di temporanea inutilizzabilità dei siti web (episodi di danneggiamento da defacement, o da Ddos attack), a volte per sfida, a volte per manifestare, in modo del tutto anonimo, una qualche contestazione più o meno politica7.
Un ruolo determinante è ricoperto dall’anonimato anche in funzione della protezione del dissenso politico, soprattutto all’interno di contesti caratterizzati da regimi autoritari e non democratici. Infatti, una possibile strada che i regimi democratici possono intraprendere al fine di mantenere attivo il dissenso per l’eventuale regime, è la messa a disposizione di “ … blog allocati in server posti al di fuori del controllo dei governi autoritari e dei loro servizi di sicurezza e polizia: occorrerà però che anche tali spazi siano protetti e gestiti con estrema cautela, anche dal punto di vista delle garanzie dell’anonimato, per evitare che si trasformino in preziose miniere di informazioni per l’intelligence dei regimi autoritari”8. Secondo quest’ottica potrebbe essere plausibile parlare di “rifugiati digitali9” che, ricevendo una speciale protezione grazie all’anonimato, possono contribuire ad esportare informazioni nel resto del mondo, così da rendere partecipi un numero sempre maggiore di persone sulle vicende che sconvolgono alcune parti del nostro pianeta e a conservare intatto il sentimento di rivolta.
E’ fuorviante pensare, tuttavia, che l’anonimato si circondi solamente di aspetti positivi. Come quasi tutte le novità introdotte con l’avvento della rete, soprattutto quelle apportate nell’ambito giuridico, anche il principio oggetto di questa breve trattazione è caratterizzato da un rovescio della medaglia. Riprendendo, ad esempio, il discorso del dissenso politico, è possibile che il regime stesso, attraverso la tecnologia e la copertura offerta dall’anonimato, si adoperi al fine di distrarre la cittadinanza e distoglierla dall’impegno politico, promuovere un’attività di propaganda con l’obiettivo di manipolare la coscienza del popolo ed anche monitorare la comparsa di focolai di ribellione di cui parlavamo pocanzi. Altrettanto rilievo ricopre la possibilità, per i maggiori social network mondiali, di poter consentire un accesso, una navigazione ed una pubblicazione di contenuti in forma del tutto anonima e difficilmente rintracciabile; Robert Hannigan, capo dell’ufficio dell’ Intelligence Britannica, ha espresso il suo disappunto nei confronti di questa eventualità, sottolineando l’importanza per i social network di non prestarsi a fini di utilizzo da parte di organizzazioni terroristiche quali l’Isis, in grado, grazie all’anonimato, di muoversi nella rete e comunicare tra di loro. D’altra parte “… chi vive nei paesi dove i social media sono vietati o molto ostacolati, avrà una possibilità in più per comunicare con il mondo10.
Anche vicende ambigue come il caso Wikileaks o Anonymous, offrono materiale di riflessione. Non vi è dubbio sull’importanza delle informazioni divulgate in seguito al caso Snowden, tuttavia molte correnti di pensiero hanno sviluppato con il tempo una linea più distante e contraria nei confronti della vicenda, sostenendo l’altrettanta importanza del mantenere celati sistemi di sorveglianza governativi e contatti diplomatici, al fine di non sconvolgere gli equilibri mondiali e porre in subbuglio menti non sufficientemente preparate a tutto ciò. Nel caso in cui si riuscisse, utopisticamente parlando, a districare questo complesso intrigo di pericoli e diritti, restano comunque in essere azioni emblematiche come quelle intraprese dal gruppo Anonymous. Di fatto si tratta di progetti illegali ma che, in concomitanza con il fenomeno Isis, apportano un notevole contributo in termini di censura, chiusura e blocco di account, forse, altrimenti impossibile da realizzare. Anche in questo caso, prendere una decisione univoca è pressoché impossibile.
A complessità concettuali inoltre, si accostano difficoltà tecniche dovute a molteplici ostacoli che impediscono, in alcuni casi, di rintracciare il responsabile del contenuto illecito. Infatti, non sempre si è in grado, anche qualora si riesca a risalire alla postazione utilizzata per la pubblicazione, di stabilire univocamente chi ha compiuto l’atto. A questo si aggiungono impedimenti legati all’utilizzo di Ip statici o dinamici che, nella metropoli digitale, intensificano la fluidità (e la non tracciabilità) dei protagonisti in gioco. In proposito, così da rendere definitivamente impossibile risolvere la questione, si è recentemente aperto un acceso dibattito relativo alla considerazione o meno dell’indirizzo Ip quale dato personale. Di fatto, è ritenuto dato personale tutto quanto colleghi, direttamente o indirettamente, il suddetto ad una determinata persona per questo identificabile. L’indirizzo Ip, in questo senso, se incrociato con altri dati a disposizione, come orario di connessione, tempistiche ed altro, potrebbe potenzialmente portare al disvelamento dell’identità e questo lo renderebbe un dato personale a tutti gli effetti, con tutti i pro e i contro che derivano dalla sua conseguente necessità di tutela11. In sintonia con quanto appena spiegato, si comprende l’atteggiamento ostile dei vari reparti mondiali dell’Intelligence e dei Servizi di Sicurezza, che si troverebbero impossibilitati, o comunque sottoposti a diverse limitazioni, qualora l’utilizzo di quel determinato dato sia il principale presupposto per l’individuazione di un indiziato.
In accordo con quanto espresso nella bozza per la Dichiarazione dei Diritti di Internet, ritengo necessaria la tutela che deriva dal riconoscimento ufficiale di un diritto all’anonimato all’interno della rete. Non solo perché è uno strumento di protezione, ma perché, proprio per questa sua caratteristica intrinseca che lo rappresenta e lo rende così prezioso, ovvero la possibilità di celarsi al mondo, è la diretta premessa per la tutela di tutti quei diritti fin d’ora analizzati. Senza, essi non avrebbero la garanzia che meritano ed esisterebbero, nella realtà digitale, come “diritti-dimezzati”. Su questo punto si inserisce un’ultima riflessione relativa alla protezione di un ulteriore diritto, forse il più importante: l’interesse pubblico. All’interno della bozza sono previsti casi eccezionali di fronte ai quali il diritto all’anonimato, così come molti altri diritti in gioco, si trovano nella condizione di dover retrocedere, sempre rispettando i criteri di un assetto democratico, per consentire il perseguimento di interessi ed obiettivi ritenuti, per così dire, superiori, in quanto coinvolgono la dimensione della collettività e vanno a toccare delicati equilibri. Uno di questi casi è certamente la sicurezza. A tal proposito si propone una visione concettuale che giustifica il bilanciamento dei diritti in gioco in funzione di un duplice ruolo di premessa svolto dalla sicurezza. Abbiamo detto che il diritto all’anonimato è una rivendicazione lecita e coerente con l’espansione dei media digitali, ed è garanzia di tutela per tutti gli altri diritti affrontati, tuttavia anch’esso è, a parer mio, legato, in maniera bidirezionale, al mantenimento della sicurezza nazionale quanto globale. In un contesto in cui si privilegi soltanto la sfera individuale e gli interessi ad essa attinenti, si decide consapevolmente di rinunciare, almeno in parte, alla tutela dell’interesse generale; ma, come l’anonimato è premessa e garanzia dell’individualità, così anche la sicurezza, se tutelata, è a sua volta presupposto di tutte le altre garanzie. Ciò che si intende confermare è, ovviamente, l’impossibilità di regolamentare la disciplina nei minimi dettagli, in quanto, come abbiamo potuto comprendere, si tratta di una materia assai eterogenea nella sua composizione e che necessita, perciò, di un bilanciamento degli interessi caso per caso, lasciando alla giurisprudenza ampio spazio di manovra decisionale e, contemporaneamente, l’esigenza di compiere questo bilanciamento nell’ottica di una spirale di presupposti.
Concludendo, ritengo che la bozza dell’articolo proposta, seppur migliorabile, sia coerente con quanto appena detto. All’interno del primo periodo, elencherei in maniera più specifica i diritti e le libertà in gioco, così come nel secondo, dedicherei qualche parola in più nel trattare gli interessi pubblici che possono, in via eccezionale e per esigenze particolari, limitare e restringere il campo di azione i diritti individuali.
Personalmente, anche se di difficile realizzazione, avrei cercato di introdurre, tramite questa bozza, il concetto di una certa responsabilità nei confronti, non soltanto delle azioni individuali perpetrate durante l’utilizzo, ormai quotidiano, della rete, ma anche dello strumento stesso coinvolto in questa pratica. Ritengo infatti che troppo spesso si tenda a non riflettere molto sul legame diretto di causa-effetto che intercorre fra la persona proprietaria dello strumento e lo strumento stesso. C’è ancora una scarsa coscienza delle reali capacità della rete, soprattutto quando utilizzata illegalmente e irresponsabilmente; ed è necessario dunque incentivare una consapevolezza del ruolo che essa gioca all’interno, non solo delle nostre vite, ma anche della società, ormai globalizzata, in cui viviamo.
1 Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il), fasc.2, 2014, pag.111, Marco Cuniberti.
2 Ibidem.
3 Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il), fasc.2, 2014, pag.171, Giorgio Resta.
4 Ibidem.
5 Si pensi, ad esempio ad un lavoratore dipendente che critichi, all’interno di un social network, le politiche della propria azienda, segnali abusi o comportamenti illegali; questo pone l’esigenza di una protezione nei confronti di soggetti deboli o comunque predisposti a discriminazione e/o eventuali ritorsioni. Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il), fasc.2, 2014, pag. 111, Marco Cuniberti.
6 Diritto all’anonimato. Anonimato, nome e identità personale, pag. 293, G.Finocchiaro.
7 Ibidem.
8 Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il), fasc.2, 2014, pag. 111, Marco Cuniberti.
9 Potremo parlare di una traslazione concettuale del tema di asilo politico (art.10, comma 3, cost.)
10 Social network, anonimato in Rete e terrorismo: la tripletta che fa paura, Hawk Thomas.
11 Ip Addresses – Just a number?, P. Lundevall-Unger and T. Tranvik.

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