Trattando
un argomento, tanto ampio e complesso quanto fluido e ricco di
contraddizioni, come quello dell’anonimato, è necessario
soffermarsi su alcune premesse delle quali non possiamo non tenere
conto se il nostro obiettivo è quello di comprendere meglio il
contesto di partenza della nostra analisi.
Innanzi
tutto è opportuno chiarire in che modo l’introduzione dei nuovi
media ha sconvolto il precedente assetto comunicativo, che trovava la
propria giustificazione e realizzazione tecnica attorno ad una
divisione netta e precisa tra comunicazione pubblica e privata;
all’interno dello scenario dei media tradizionali, questa scelta
accompagnava due importanti conseguenze: la garanzia della segretezza
delle comunicazioni private e delle fonti di informazione e,
conseguentemente, l’assunzione di una certa responsabilità
nell’ambito delle comunicazioni pubbliche. Il soggetto che operava
questa scelta era consapevole di poter contare, a seconda del tipo di
comunicazione, su due regimi di tutela differenti. Con l’espandersi
dei nuovi media è andata via via perdendosi quella linea di
demarcazione appena accennata. Essi hanno favorito la proliferazione
di un numero potenzialmente infinito di spazi in cui questa
distinzione fatica ad emergere; il fatto che un contenuto possa
essere condiviso all’interno di una comunità di utenti, anche
molto estesa, non significa necessariamente che il suddetto contenuto
sia fruibile alla generalità della cittadinanza1.
E’ perciò plausibile la rivendicazione di un trattamento diverso
in relazione a contesti comunicativi differenti. Se tali contesti
potessero essere delimitati senza opacità.
In
presenza, dunque, di una mancanza, più o meno totale, di protezione
per quanto concerne le comunicazioni private, quanto è ragionevole
pretendere un obbligo all’identificazione nell’ambito pubblico2?
La risposta pare essere negativa e non priva di contraddizioni.
Chiarite
queste brevi premesse, è inevitabile chiederci: esiste un reale e
riconosciuto diritto all’anonimato?
Attualmente,
la Costituzione Italiana non prevede espressamente alcun riferimento
specifico al diritto in questione; sono tuttavia rintracciabili,
all’interno della Direttiva 95/46/CE e della Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea, numerosi riferimenti indiretti,
mediati cioè dalla tutela di altri diritti appartenenti alla sfera
individuale. In questo senso, è utile rifarsi ai contesti che hanno
caratterizzato e reso diversi nel bilanciamento dei diritti, gli
Stati Uniti e l’Europa; in entrambi è presente una c.d. tutela
dell’anonimato, tuttavia, questo principio è penetrato nel tessuto
normativo battendo strade diverse. Negli Stati Uniti esso
rappresenta, insieme a network anonimi come TOR, il principale
strumento di salvaguardia della libertà di espressione e
manifestazione del proprio pensiero, tutelata giuridicamente dal
Primo Emendamento della Costituzione. “… esso
realizzerebbe il sogno dell’identità postmoderna, consentendo a
ciascuno di sfuggire alle gabbie della propria “biografia”,
costruendo un’identità fluida, à la carte, plasmata su un io
desiderato e libero da tutti i vincoli e le convenzioni sociali circa
il modo di apparire”3.
Non solo. L’anonimato può offrire numerosi benefici anche
all’autonomia dei gruppi; consentendo alle minoranze di esprimere
le proprie critiche e organizzare forme di mobilitazione altrimenti
impossibili, inciderebbe positivamente sulla partecipazione politica
e, perciò, sulla redistribuzione sociale4.
In Italia, viceversa, questo principio è entrato a far parte del
nostro ordinamento in quanto protezione del diritto alla Privacy, o
meglio, necessario alla protezione dei dati personali e alla volontà
del singolo individuo di celare alla dimensione pubblica tutte quelle
informazioni attinenti la propria identità e che lo caratterizzano
in maniera univoca. Potenzialmente infinite, tuttavia, possono essere
le utilità derivanti dall’utilizzo di uno strumento come
l’anonimato. Esso è indubbiamente funzionale al mantenimento della
nostra corretta identità, proteggendola da furti, intrusioni
illecite, accessi abusivi, molestie pubbliche quanto private5,
ed è altresì indispensabile per mantenere intatta la nostra
reputazione, quale estensione della nostra identità all’interno
dello spazio pubblico. Un esempio, in tal senso, è rappresentato
dagli ormai noti casi di diffamazione online, in cui “… il
diritto all’anonimato, normalmente connesso con il diritto di
manifestare il pensiero …, soccombe al diritto al
rispetto della reputazione e dell’onore altrui”6.
Non
è difficile, inoltre, che accada di trovarsi in situazioni in cui,
il diritto all’anonimato ceda nei confronti di alcuni diritti
patrimoniali, come nel caso, appena accennato, di attacchi di
temporanea inutilizzabilità dei siti web (episodi di danneggiamento
da defacement, o da Ddos attack), a volte per sfida, a
volte per manifestare, in modo del tutto anonimo, una qualche
contestazione più o meno politica7.
Un
ruolo determinante è ricoperto dall’anonimato anche in funzione
della protezione del dissenso politico, soprattutto all’interno di
contesti caratterizzati da regimi autoritari e non democratici.
Infatti, una possibile strada che i regimi democratici possono
intraprendere al fine di mantenere attivo il dissenso per l’eventuale
regime, è la messa a disposizione di “ … blog allocati
in server posti al di fuori del controllo dei governi autoritari e
dei loro servizi di sicurezza e polizia: occorrerà però che anche
tali spazi siano protetti e gestiti con estrema cautela, anche dal
punto di vista delle garanzie dell’anonimato, per evitare che si
trasformino in preziose miniere di informazioni per l’intelligence
dei regimi autoritari”8.
Secondo quest’ottica potrebbe essere plausibile parlare di
“rifugiati digitali9”
che, ricevendo una speciale protezione grazie all’anonimato,
possono contribuire ad esportare informazioni nel resto del mondo,
così da rendere partecipi un numero sempre maggiore di persone sulle
vicende che sconvolgono alcune parti del nostro pianeta e a
conservare intatto il sentimento di rivolta.
E’
fuorviante pensare, tuttavia, che l’anonimato si circondi solamente
di aspetti positivi. Come quasi tutte le novità introdotte con
l’avvento della rete, soprattutto quelle apportate nell’ambito
giuridico, anche il principio oggetto di questa breve trattazione è
caratterizzato da un rovescio della medaglia. Riprendendo, ad
esempio, il discorso del dissenso politico, è possibile che il
regime stesso, attraverso la tecnologia e la copertura offerta
dall’anonimato, si adoperi al fine di distrarre la cittadinanza e
distoglierla dall’impegno politico, promuovere un’attività di
propaganda con l’obiettivo di manipolare la coscienza del popolo ed
anche monitorare la comparsa di focolai di ribellione di cui
parlavamo pocanzi. Altrettanto rilievo ricopre la possibilità, per i
maggiori social network mondiali, di poter consentire un accesso, una
navigazione ed una pubblicazione di contenuti in forma del tutto
anonima e difficilmente rintracciabile; Robert Hannigan, capo
dell’ufficio dell’ Intelligence Britannica, ha espresso il suo
disappunto nei confronti di questa eventualità, sottolineando
l’importanza per i social network di non prestarsi a fini di
utilizzo da parte di organizzazioni terroristiche quali l’Isis, in
grado, grazie all’anonimato, di muoversi nella rete e comunicare
tra di loro. D’altra parte “… chi vive nei paesi dove
i social media sono vietati o molto ostacolati, avrà una possibilità
in più per comunicare con il mondo”10.
Anche
vicende ambigue come il caso Wikileaks o Anonymous, offrono materiale
di riflessione. Non vi è dubbio sull’importanza delle informazioni
divulgate in seguito al caso Snowden, tuttavia molte correnti di
pensiero hanno sviluppato con il tempo una linea più distante e
contraria nei confronti della vicenda, sostenendo l’altrettanta
importanza del mantenere celati sistemi di sorveglianza governativi e
contatti diplomatici, al fine di non sconvolgere gli equilibri
mondiali e porre in subbuglio menti non sufficientemente preparate a
tutto ciò. Nel caso in cui si riuscisse, utopisticamente parlando, a
districare questo complesso intrigo di pericoli e diritti, restano
comunque in essere azioni emblematiche come quelle intraprese dal
gruppo Anonymous. Di fatto si tratta di progetti illegali ma che, in
concomitanza con il fenomeno Isis, apportano un notevole contributo
in termini di censura, chiusura e blocco di account, forse,
altrimenti impossibile da realizzare. Anche in questo caso, prendere
una decisione univoca è pressoché impossibile.
A
complessità concettuali inoltre, si accostano difficoltà tecniche
dovute a molteplici ostacoli che impediscono, in alcuni casi, di
rintracciare il responsabile del contenuto illecito. Infatti, non
sempre si è in grado, anche qualora si riesca a risalire alla
postazione utilizzata per la pubblicazione, di stabilire univocamente
chi ha compiuto l’atto. A questo si aggiungono impedimenti legati
all’utilizzo di Ip statici o dinamici che, nella metropoli
digitale, intensificano la fluidità (e la non tracciabilità) dei
protagonisti in gioco. In proposito, così da rendere definitivamente
impossibile risolvere la questione, si è recentemente aperto un
acceso dibattito relativo alla considerazione o meno dell’indirizzo
Ip quale dato personale. Di fatto, è ritenuto dato personale tutto
quanto colleghi, direttamente o indirettamente, il suddetto ad una
determinata persona per questo identificabile. L’indirizzo Ip, in
questo senso, se incrociato con altri dati a disposizione, come
orario di connessione, tempistiche ed altro, potrebbe potenzialmente
portare al disvelamento dell’identità e questo lo renderebbe un
dato personale a tutti gli effetti, con tutti i pro e i contro che
derivano dalla sua conseguente necessità di tutela11.
In sintonia con quanto appena spiegato, si comprende l’atteggiamento
ostile dei vari reparti mondiali dell’Intelligence e dei Servizi di
Sicurezza, che si troverebbero impossibilitati, o comunque sottoposti
a diverse limitazioni, qualora l’utilizzo di quel determinato dato
sia il principale presupposto per l’individuazione di un indiziato.
In
accordo con quanto espresso nella bozza per la Dichiarazione dei
Diritti di Internet, ritengo necessaria la tutela che deriva dal
riconoscimento ufficiale di un diritto all’anonimato all’interno
della rete. Non solo perché è uno strumento di protezione, ma
perché, proprio per questa sua caratteristica intrinseca che lo
rappresenta e lo rende così prezioso, ovvero la possibilità di
celarsi al mondo, è la diretta premessa per la tutela di tutti quei
diritti fin d’ora analizzati. Senza, essi non avrebbero la garanzia
che meritano ed esisterebbero, nella realtà digitale, come
“diritti-dimezzati”. Su questo punto si inserisce un’ultima
riflessione relativa alla protezione di un ulteriore diritto, forse
il più importante: l’interesse pubblico. All’interno della bozza
sono previsti casi eccezionali di fronte ai quali il diritto
all’anonimato, così come molti altri diritti in gioco, si trovano
nella condizione di dover retrocedere, sempre rispettando i criteri
di un assetto democratico, per consentire il perseguimento di
interessi ed obiettivi ritenuti, per così dire, superiori, in quanto
coinvolgono la dimensione della collettività e vanno a toccare
delicati equilibri. Uno di questi casi è certamente la sicurezza. A
tal proposito si propone una visione concettuale che giustifica il
bilanciamento dei diritti in gioco in funzione di un duplice ruolo di
premessa svolto dalla sicurezza. Abbiamo detto che il diritto
all’anonimato è una rivendicazione lecita e coerente con
l’espansione dei media digitali, ed è garanzia di tutela per tutti
gli altri diritti affrontati, tuttavia anch’esso è, a parer mio,
legato, in maniera bidirezionale, al mantenimento della sicurezza
nazionale quanto globale. In un contesto in cui si privilegi soltanto
la sfera individuale e gli interessi ad essa attinenti, si decide
consapevolmente di rinunciare, almeno in parte, alla tutela
dell’interesse generale; ma, come l’anonimato è premessa e
garanzia dell’individualità, così anche la sicurezza, se
tutelata, è a sua volta presupposto di tutte le altre garanzie. Ciò
che si intende confermare è, ovviamente, l’impossibilità di
regolamentare la disciplina nei minimi dettagli, in quanto, come
abbiamo potuto comprendere, si tratta di una materia assai eterogenea
nella sua composizione e che necessita, perciò, di un bilanciamento
degli interessi caso per caso, lasciando alla giurisprudenza ampio
spazio di manovra decisionale e, contemporaneamente, l’esigenza di
compiere questo bilanciamento nell’ottica di una spirale di
presupposti.
Concludendo,
ritengo che la bozza dell’articolo proposta, seppur migliorabile,
sia coerente con quanto appena detto. All’interno del primo
periodo, elencherei in maniera più specifica i diritti e le libertà
in gioco, così come nel secondo, dedicherei qualche parola in più
nel trattare gli interessi pubblici che possono, in via eccezionale e
per esigenze particolari, limitare e restringere il campo di azione i
diritti individuali.
Personalmente,
anche se di difficile realizzazione, avrei cercato di introdurre,
tramite questa bozza, il concetto di una certa responsabilità nei
confronti, non soltanto delle azioni individuali perpetrate durante
l’utilizzo, ormai quotidiano, della rete, ma anche dello strumento
stesso coinvolto in questa pratica. Ritengo infatti che troppo spesso
si tenda a non riflettere molto sul legame diretto di causa-effetto
che intercorre fra la persona proprietaria dello strumento e lo
strumento stesso. C’è ancora una scarsa coscienza delle reali
capacità della rete, soprattutto quando utilizzata illegalmente e
irresponsabilmente; ed è necessario dunque incentivare una
consapevolezza del ruolo che essa gioca all’interno, non solo delle
nostre vite, ma anche della società, ormai globalizzata, in cui
viviamo.
1
Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il),
fasc.2, 2014, pag.111, Marco Cuniberti.
2
Ibidem.
3
Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il),
fasc.2, 2014, pag.171, Giorgio Resta.
4
Ibidem.
5
Si pensi, ad esempio ad un lavoratore dipendente che critichi,
all’interno di un social network, le politiche della propria
azienda, segnali abusi o comportamenti illegali; questo pone
l’esigenza di una protezione nei confronti di soggetti deboli o
comunque predisposti a discriminazione e/o eventuali ritorsioni.
Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il), fasc.2, 2014,
pag. 111, Marco Cuniberti.
6
Diritto all’anonimato. Anonimato, nome e identità personale,
pag. 293, G.Finocchiaro.
7
Ibidem.
8
Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il),
fasc.2, 2014, pag. 111, Marco Cuniberti.
9
Potremo parlare di una traslazione concettuale del tema di asilo
politico (art.10, comma 3, cost.)
10
Social network, anonimato in Rete e terrorismo: la tripletta che
fa paura, Hawk Thomas.
11
Ip Addresses – Just a number?, P. Lundevall-Unger and T.
Tranvik.
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