martedì 17 febbraio 2015

Articolo 10 - Diritto all'oblio

commento di Susanna Pagiotti

Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza.
Il diritto all’oblio non può limitare la liberta di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’ attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate.
Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque ha diritto di conoscere tali casi e di impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione.
(Art.10 della bozza della Dichiarazione dei diritti in internet)

Affrontare il tema del diritto all’oblio significa muoversi all’interno di uno dei più accesi dibattiti che nel mondo giuridico e istituzionale sta scaldando non solo giuristi, ma anche sociologi (informatici, storici, filosofi etc.). Negli ultimi anni questo tema, di carattere prettamente giuridico, è riuscito a trovare un proprio posto anche nelle cronache nazionali e internazionali, si pensi prima di tutto all’ambito europeo, gettando le basi e i presupposti di un sempre più largo dibattito che, piuttosto che semplificare la questione, ha contribuito a sottoporla ad un ventaglio di sfaccettature sempre più ampie coinvolgendo anche pareri di sociologi e antropologi che di questo diritto e della sua garanzia ne hanno fatto base per una riflessione sull’identità umana e sulle sue implicazioni ai tempi del web.
Ma procediamo con ordine: per diritto all’oblio si intende, in ambito giuridico, una particolare forma di garanzia mirata alla non diffondibilità di informazioni pubblicate nel passato e nel passato di lecita diffusione, che potrebbero ad oggi però essere pregiudizievoli per il soggetto e lesivi del proprio onore, laddove non si riscontri nel presente un nuovo interesse diffuso legato alla conoscenza di tali informazioni e laddove quindi la notizia abbia perso attualità e rilevanza. Sono quindi elementi fondamentali e intrinsechi nel diritto all’oblio, il trascorrere del tempo dal fatto avvenuto e dalla pubblicazione della notizia e con esso una possibile e progressiva perdita di attualità della notizia diffusa. Nel diritto sono sottoposte a questa garanzia informazioni soprattutto riferibili a precedenti giudiziari. Proprio in base a questo principio si considera reato la diffusione e la pubblicazione di informazioni la cui conoscenza non risponda a principi di pertinenza, di interesse pubblico o diffuso e di proporzionalità nel caso in cui, in situazioni particolari ricollegabili al diritto di cronaca, ci sia il bisogno di riportare la notizia sotto i riflettori. Tradizionalmente, invece, questo diritto è visto come il diritto a che nessuno riproponga nel presente un episodio che riguarda la nostra vita passata e che, per le ragioni più disparate, si vorrebbe rimanesse radicato nella storia ritendendo la notizia non più rilevante ai fini di una interesse collettivo alla conoscenza del fatto. Ma il diritto all’oblio è anche più generalmente conosciuto come il “diritto ad essere dimenticati”, allocuzione questa, che ha dato il via all’interesse e alla curiosità di numerosi esperti del sistema giuridico ma non solo.
Per comprendere appieno questo diritto e la sua natura, è necessaria però una riflessione, o meglio, un passo indietro che riesca bene ad inquadrare la natura di questo misterioso strumento di garanzia. Questo diritto infatti ha l’interessante caratteristica di essere mutevole al mezzo (media) al quale si adatta. Sarebbe quindi del tutto inappropriato condurre una riflessione sull’oblio che guardi indifferentemente alla sua applicazione nei casi dei media tradizionali di carta stampata, ad esempio, e in quelli della rete. Essere dimenticati dai quotidiani è una cosa, essere dimenticati dal web è tutt’altra cosa. Nel caso dei media tradizionali infatti è più appropriato rivolgere l’attenzione della riflessione circa il problema dell’archiviazione degli articoli pubblicati nel passato, archiviazione che richiede particolari criteri riguardo il suo ordine e soprattutto la sua accessibilità. Cambia invece tutto se l’archivio è il web.

Riflessioni primo e secondo comma

Parlare oggi di diritto all’oblio, alla luce dell’evoluzione dei media di comunicazione ed in primis con l’avvento del web, ha un’accezione del tutto diversa, che implica anche una diversa riflessione dal punto di vista giuridico; non si tratta più della sola e univoca chiave di lettura data a questo diritto nel tempo come diritto a che non vengano riproposti fatti accaduti nel passato, ma il focus si sposta proprio sul diritto di ciascuno di noi di gestire e riprendersi pezzi della propria storia pubblicata online. Per trattare quindi di questo diritto, nuovo e sottoposto alle caratteristiche del web, è però importante affrontare le riflessioni necessarie che il suo riconoscimento e la sua garanzia portano con sé, andando spesso a contrapporsi ad altri diritti e principi riconosciuti e che in questo conflitto rischierebbero di venire soffocati.
Interessante a questo proposito è un articolo di Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’università di Oxford, nonché uno dei più grandi esperti al mondo di media digitali e filosofo dei tempi del web. Il diritto all’oblio è per Floridi un diritto che già fin dalla sua origine e più che mai con l’avvento di internet, pone più domande che risposte; tra queste, una delle riflessioni più importanti che riguarda la sedimentazione delle informazioni sensibili e private prodotte e pubblicate nel passato e che si vorrebbe rimanessero tali. Il web infatti può essere visto come una “pianura” priva di profondità storica, nella quale, quindi, le informazioni prodotte nel tempo, non si sovrappongono alle altre provocando lo sprofondamento delle informazioni più obsolete, ma la sua struttura è talmente dinamica da riproporre immediatamente un’informazione giacente nei meandri del web riportandola ad un’attualità e ad una rilevanza straordinaria. Ecco che quindi lo stesso Floridi si pone un primo importante interrogativo: come garantire che i propri dati personali possano essere rintracciati senza essere costantemente ricordati? E’ inevitabile quindi collegare questo tipo di riflessione e questa garanzia al diritto alla privacy contrapposto da sempre alle libertà di opinione e di espressione. Ma non solo. Ancora più interessante infatti è la contrapposizione che questo diritto ha, non solo nei confronti di diritti e libertà individuali (comunque di eguale importanza e di necessaria tutela), ma nei confronti di diritti collettivi e diffusi che mette di fronte ad un interesse del singolo, quale il diritto all’oblio, un interesse che appartiene alla collettività. Non è infatti possibili de-linkare un’informazione personale dal web, rendendola così inaccessibile, nel caso in cui questa sia di interesse pubblico. Il quesito si trova proprio qui: come si stabilisce che un determinato dato sia di effettivo interesse pubblico (la “rilevanza” di cui al comma 1)? Questo è forse uno dei più grandi e indistricabili nodi che la riflessione del diritto all’oblio porta con sé, in quanto ragionare sugli interessi pubblici connessi ai dati archiviati nel web significa accettare di dover riflettere su tante implicazioni che questo porta con sé. Sembra infatti semplice giungere alla conclusione che se, nel rispetto del diritto di cronaca, un’informazione passata è di nuovo attuale, questi dati debbano essere riproposti nei confronti di un pubblico che è tenuto e legittimato a conoscere; è invece più difficile comprendere, nella concretezza del caso, quando sia veramente necessario riportare alla ribalta queste informazioni senza rischiare di ledere senza motivo ed oltremisura il diritto del singolo a che quei dati non vengano riproposti.
Ancora più ingarbugliato è poi il dibattito che si apre riguardo i diversi trattamenti che le informazioni possano ricevere nel caso in cui si tratti di dati personali (soprattutto se giudiziari) appartenenti a personaggi pubblici, a cui appartiene un ruolo influente rispetto ad un normale cittadino (public life vs private life per lo psichiatra Tisseron che interpreta questo quesito legando il suo possibile scioglimento alla natura del soggetto in questione). Quando un soggetto può dirsi personaggio pubblico (c.d. personaggio noto nel secondo comma dell’articolo)? Si tratta semplicemente di soggetti appartenenti al mondo della politica e delle istituzioni le cui informazioni, ad esempio giudiziarie, possano essere di grande interesse per l’elettorato, o anche di personaggi dello spettacolo? Se quindi l’informazione veicolata non è attinente al ruolo pubblico e sociale del soggetto, può considerarsi di interesse pubblico? In altre parole, interessa a noi cittadini sapere che il cantante Tizio sia stato indagato per frode venti anni fa quanto sapere che ad essere indagato per frode è stato il famoso Caio esponente di un partito che nel governo ha largo consenso? Questi sono alcuni dei tanti quesiti che il riconoscimento di questa garanzia lascia senza risposte e che, anche secondo Floridi, porta a dover contrapporre questo diritto ad uno dei diritti più cari ai paesi di stampo democratico, baluardo di tante libertà connesse, il diritto all’informazione (il “diritto dell’opinione pubblica a essere informata”, comma 2); è importante quindi che venga bilanciato il diritto del singolo ad essere dimenticato alla necessità di garantire che le informazioni che sono o sono state di cronaca e che hanno o hanno avuto rilievo civile o sociale, non siano oggetto di opere di censura improprie (così come sostiene anche l’Esecutive Chairman di Google Eric Schmidt nell’apertura della seconda conferenza del Comitato Consultivo per il diritto all’oblio tenutasi a Roma).
Con queste riflessioni si apre, a mio avviso, una delle sfaccettature più interessanti dello studio del diritto all’oblio, quella che vede scendere in campo professionisti della sociologia e della psicologia per riflettere sulle conseguenze del riconoscimento di questa garanzia ai tempi di internet, il quale ha sconvolto non solo i processi di comunicazione, ma in primis il nostro modo di vivere la realtà e di confrontarci con l’altro ma anche con noi stessi.
Un apporto importante e originale in materia è quello dato dallo psichiatra francese e dottore in psicologia Serge Tisseron che nel terzo incontro del comitato consultivo di Google riguardo al diritto all’oblio tenutosi a Parigi, interrogato sulla questione, apre lo sguardo e la prospettiva della previsione di questo strumento di garanzia affermando che “se cediamo alla tentazione di permettere di rimuovere le informazioni che loro stessi hanno messo su internet, otterremo una cultura in cui le persone hanno l’impressione che sia possibile dire e fare qualsiasi cosa, tanto dopo è possibile rimuoverlo”. Il suo punto di vista, che distingue anche tra informazioni pubblicate da altri su se stessi e informazioni pubblicate in prima persona, si concentra sulla conseguenza psicologica che questa possibilità in mano a tutti i soggetti, soprattutto ai più giovani che vivono nel web e che nella rete hanno immesso un’enorme quantità di dati sin dalla più giovane età, possa portarli a cancellare e modificare senza criterio tutti quei dati che ritengono scomodi creando così un profondo gap tra la realtà e ciò che viene mostrato nel mondo di internet facendo di quest’ultimo un mondo parallelo per niente integrato con la vita di tutti i giorni; questo è il presupposto per la creazione di un profondo trauma nella psicologia degli individui che, anche non volendo, sono costretti a fare i conti con una rete divenuta sempre più presente nella vita e nelle scelte della società. E’ su questo punto che si inserisce Guido Scorza, avvocato e dottore di ricerca in Informatica giuridica e Diritto delle nuove tecnologie, che a riguardo parla di educazione digitale (tesi sostenuta anche da uno dei sociologi di internet più conosciuti ed ex allievo di McLuhan, Derrick de Kerckhove), forse una delle migliori tesi opposte al più largo riconoscimento del diritto all’oblio; occorre infatti acquisire “un'attitudine a convivere in un contesto tecnologico diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati. Nessuno di noi ha mai pensato di chiedere a qualcun altro di cancellare dalla sua memoria qualcosa che aveva sentito sul suo conto Possiamo farlo accettando che oggi esiste uno strumento di supporto alla memoria collettiva. D'altra parte i libri e gli archivi esistono da secoli. Ecco, oggi c'è anche Internet”. Scorza getta le basi per quello che è il discorso più ampio, che qui non approfondirò, sull’educazione ai nuovi media, al web, uno strumento che si propone non più come una struttura parallela nel quale l’individuo si muove saltuariamente, ma come la possibilità che la tecnologia ci concede di ampliare i nostri confini e i nostri sensi della quale oggi non possiamo più fare a meno. La nostra percezione quindi di poter cambiare il nostro passato, o meglio, poterlo cancellare, deve essere educata dalla consapevolezza che con il passato dobbiamo fare necessariamente i conti, ma che è possibile convivere con il web in maniera serena, consapevoli che ciò che vi immettiamo resterà impresso in una memoria che appartiene a tutti. Il contrario invece, e quindi la cancellazione o la modificazione di questa memoria, che Scorza riconduce ad un diritto collettivo alla storia “se consentiamo a chiunque di pretendere la rimozione di un contenuto sgradito che lo riguarda, tra cento anni quando guarderanno a questa epoca attraverso internet sembreranno tutti bravi e buoni. Le storie di corrotti e delinquenti saranno sparite”, porterebbe a conseguenze ben più gravi di quelle che un più moderato riconoscimento del diritto all’oblio porterebbe al soggetto titolare del diritto.
E’ infatti, con la massima e più alta garanzia del diritto all’oblio che forse si giunge a quello che lo psichiatra Tisseron definisce come il pericolo più grande (“sarebbe drammatico se i legislatori facessero di questo internet la regola”), il diritto alla smentita. Il rischio è dunque quello di lasciare che le persone abusino di questo strumento, finendo così per rimuovere, grazie alla smentita, non solo le informazioni, ma il fatto stesso.
Leggere e inquadrare il diritto all’oblio in questo senso, significa riconoscere che internet è divenuto nel tempo il nostro database di informazioni che la memoria non riesce a immagazzinare e mantenere per sua natura, che non si oppone però al diritto più che legittimo di pentirsi e soprattutto di essere perdonato. Per pentirsi occorre accettare di aver commesso errori, e riconoscerli. Per perdonare occorre ricordare.

Una trattazione sul diritto all’oblio, non può pertanto prescindere da riflessioni che non siano prima di tutto di carattere sociologico e psicologico. Non si tratta infatti di un semplice diritto sul quale le istituzioni nazionali e internazionali sono chiamate a legiferare, ma molto di più. Ragionare giuridicamente sul diritto all’oblio significa prima di tutto aver riflettuto su quali implicazioni e conseguenze il suo eventuale riconoscimento possa comportare.

L’ostacolo più grande che la previsione della tutela di questo diritto porta con sé, è forse quello rintracciabile nelle parole di Floridi circa la territorialità della legge contro la non-territorialità di internet. E’ veramente utile ed efficace proporre una regolamentazione (con effetti territorialmente delimitati) che disciplini il diritto in materia se internet è per eccellenza lo strumento a-territoriale? Nel tempo, enti nazionali e sovranazionali hanno comunque provato a proporre loro normazioni per inquadrare la materia del diritto all’oblio.
L’Unione Europea il 25 gennaio 2012 su proposta della Commissaria per la giustizia e i Diritti Fondamentali Viviane Reding, ha elaborato una riforma generale che tratta anche del diritto all’oblio concentrandosi sulla più ampia tutela della privacy degli utenti nel web, non ancora definitivamente approvato. La proposta consta di una direttiva ed un regolamento. La prima, che dopo l’eventuale approvazione dovrà essere quindi recepita da ciascun paese, riguarda la protezione dei dati elaborati successivamente a provvedimenti giudiziari prevedendo un trattamento dei dati fortemente tutelante da parte delle autorità. Il regolamento invece riguarda tutti gli altri casi, in particolare riguardanti il trattamento dei dati nel web ed ha l’ambizione di proporsi come quadro di riferimento per tutti coloro che vorranno operare in ambito europeo nel trattamento dei dati. All’art. 17 il regolamento disciplina il diritto all’oblio e alla cancellazione, prevedendo il diritto del soggetto interessato di ottenere dal responsabile la cancellazione di dati personali che lo riguardano e la rinuncia a un ulteriore diffusione di tali dati, laddove i dati non siano più necessari rispetto alle finalità, laddove l’interessato ne revochi il consenso all’utilizzo o si opponga ai sensi dell’articolo 19 (per finalità di marketing) o nel caso in cui il trattamento non sia conforme al regolamento. Infine se il responsabile del trattamento ha reso pubblici i dati, dovrà adottare tutte le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i terzi che stanno trattando i dati, della richiesta dell’interessato al fine di cancellare qualunque link, copia o riproduzione dei suoi dati. Il regolamento introduce quindi la possibilità di effettuare direttamente l’operazione di cancellazione dei dati e non solo un mero diritto di opposizione.

Ma a dare una forte scossa in tema di diritto all’oblio è stata sicuramente la sentenza conosciuta con il nome di “Sentenza Google Spain” (causa C-131/12 Mario Costeja Gonzales e AEPD contro Google Spain e Google Inc.). Mario Costeja Gonzalez si era rivolto all’equivalente del nostro Garante per la Privacy in Spagna, ritenendo di avere diritto a che i suoi link, che comparivano nella pagina dei risultati di Google cercando il suo nome, venissero rimossi. Tra questi link, alcuni rimandavano a pagine di giornale in cui si raccontava della messa all’asta per motivi di necessità economica della sua casa 16 anni fa. Per Costeja Gonzalez il contenuto violava la sua privacy e non era più rilevante dopo che i suoi problemi economici si erano risolti. I giudici della Corte Europea hanno stabilito in merito che i cittadini europei hanno il diritto di richiedere che alcune informazioni siano rimosse se queste sono “non adatte, irrilevanti o non più rilevanti”. Secondo la Corte deve essere possibile richiedere la de-indicizzazione alla società che gestisce il motore di ricerca nel quale sono state trovate le informazioni. In caso di inadempienza del motore di ricerca si può ricorrere alle autorità competenti per ottenerne la rimozione. Quella che è stata definita da Viviane Reding come “una vittoria per la protezione dei dati personali” è stata invece commentata dagli operatori del motore, in questo caso di Google, come una sentenza deludente che minaccia la tutela della libertà all’informazione online.

Le conseguenze della sentenza Google Spain non hanno tardato ad arrivare anche in Italia.
Da sempre l’istituzione preposta a giudicare in materia di diritto all’oblio e più ampiamente in tema di dati sensibili è il Garante della privacy che, con la sentenza della Corte di Giustizia Europea, ha rivisto il suo operato alla luce di quanto stabilito per il caso Costeja Gonzales. Tra il novembre e dicembre 2014 il Garante si è trovato a dover produrre un giudizio su nove casi assimilabili; in sette di questi casi il Garante ha respinto la richiesta di prescrivere a Google la deindicizzazione, facendo prevalere l’interesse pubblico ad accedere alle informazioni giudicando il caso come ancora recente e non concluso, mentre negli altri due casi la richiesta è stata accolta essendo presenti informazioni eccedenti su persone estranee alla vicenda giudiziaria e per dati inseriti in un contesto non idoneo alla pubblicazione di tali informazioni (in questo caso riguardanti la sfera sessuale).

Riflessioni sul terzo comma

Il problema della deindicizzazione è il tema toccato dal terzo comma dell’articolo 10 della bozza della Dichiarazione dei diritti in internet. Il fatto che a questo strumento sia dedicato uno specifico comma, è già di per sé significativo; la deindicizzazione, e cioè la rimozione dei link dal motore di ricerca, è spesso utilizzata impropriamente come strumento coincidente e perfettamente aderente all’esercizio del diritto all’oblio nel web. Sarebbe meglio intendere il diritto alla deindicizzazione, però, come un sottoprodotto del diritto all’oblio, e non come un continuum di quest’ultimo. E’ da tenere bene in mente che l’indicizzazione è per sua natura un elemento consustanziale al web (visto come struttura informativa indicizzata), che appartiene ad esso e con il quale il web si esprime e organizza. E’ un elemento imprescindibile della rete senza la quale diventerebbe impraticabile e caotica a tal punto da non riuscire più a svolgere le attività e garantire i servizi per la quale è nata. Mettere mano sull’indicizzazione delle informazioni in rete e quindi su questa struttura portante, significa in primis andare a modificare e a “manomettere” lo scheletro della rete. Per ovviare a questo, il comma proposto nella bozza, suggerisce quello che può essere considerato un escamotage che riesca a riequilibrare la scomparsa di alcune informazioni dagli indici del web proponendo che, in caso di cancellazione degli indici dai motori di ricerca, chiunque potrà esercitare il proprio diritto a conoscere e impugnare tali casi di fronte all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico. Questo comma desta, a mio avviso, non poche perplessità; sottintende infatti che il soggetto richiedente ed esercitante il diritto a conoscere, sia effettivamente a conoscenza che tali informazioni non siano presenti nel motore di ricerca; questa formulazione sembra infatti attenere a tutti quei casi in cui nel motore di ricerca si cerchino informazioni che riguardano persone conosciute dal soggetto richiedente, che ha quindi delle aspettative ben chiare circa quello che troverà e che desidera trovare nel web. Il comma esclude quindi, a mio parere, tutti gli altri casi in cui il soggetto che ricerca informazioni online, non conosca nulla del soggetto che sta cercando, per cui non avrà pregiudizi circa le informazioni che troverà o non troverà online non potendo quindi esercitare di partenza il proprio diritto a conoscere come accadrebbe invece nel primo caso. Tale previsione si collega però anche ad un’ulteriore soluzione al tema; la soluzione proposta dal comma si connette indirettamente alla più ampia possibilità (portata avanti e difesa dallo stesso Tisseron) di prevedere una struttura in internet che funga da archivio di tutte quelle informazioni che nel tempo sono state cancellate e deindicizzate in modo da tutelare l’interesse privato da un lato e quello pubblico dall’altro. In sostanza dai diversi incontri dei Comitati Consultivi di Google è emersa la possibilità di trovare uno spazio in “google.com” nel quale, chi sia deciso e determinato nel ricercare informazioni circa una persona fisica o giuridica, abbia uno spazio nel quale poter trovare tutto ciò che cerca, in modo da esercitare così, il proprio diritto all’informazione. Anche questa soluzione però lascia spazio a non pochi dubbi; prevedere uno spazio in cui raggruppare informazioni che la persona a cui si riferiscono ha voluto cancellare, è veramente rispettoso del diritto all’oblio di cui la deindicizzazione è uno strumento? Trovare delle informazioni in questo database, non produce forse effetti contrari a quelli che la deindicizzazione ha lo scopo di produrre? Venire a conoscenza infatti che un soggetto abbia richiesto la cancellazione di alcune informazioni sul proprio conto, rischia di aumentare il pregiudizio nei confronti del soggetto in questione, per cui potrebbe dare l’impressione che lo stesso abbia magari commesso un reato ben più grave di quello che forse ha veramente commesso; per fare un esempio, se viene accolta la mia richiesta di cancellazione di informazioni circa un pignoramento avvenuto nei confronti dei miei beni, in coloro che vengono a conoscenza di questa cancellazione nascerà il pregiudizio per cui penseranno probabilmente che il pignoramento sia avvenuto in seguito ad una commissione di reato grave che io soggetto titolare non voglio si venga a sapere.

La disciplina prevista dalla proposta della Camera all’articolo 10 della bozza della Dichiarazione dei diritti in internet, si muove da una parte verso il giusto obiettivo di bilanciare gli interessi contrapposti dando rilievo anche al diritto all’informazione, ma risulta ancora vaga, in base alle riflessioni sopra riportate. A mio parere un diritto di questo tipo non può essere “costretto” nei confini di una regolamentazione nazionale che sembra voler porre limiti giuridici territoriali (ad esempio con le autorità giudiziarie nazionali) laddove non esistano nel web e sembra voler ricondurre temi di interesse sovranazionali alla regolamentazione del nostro ordinamento giuridico. Ma anche laddove entrino in campo enti sovranazionali, forse non si sta ancora tenendo conto di quello che a mio parere è il più grande interrogativo: è giusto riconoscere un diritto all’oblio in internet?







Riferimenti :
-definizione diritto all’oblio http://www.ildirittoalloblio.it/diritto-all-oblio
-intervista Guido Scorza su diritto all’oblio
-Serge Tisseron su public life vs private life-Conferenza comitato consultivo Google Parigi (min. 51.10) https://www.google.it/intl/it/advisorycouncil/
-Eric Schmidt su Conferenza comitato consultivo Google Parigi (min. 45.41) https://www.google.it/intl/it/advisorycouncil/
-Serge Tisseron e approccio psicologico al diritto all’oblio (min.56.05) https://www.google.it/intl/it/advisorycouncil/
-Guido Scorza su educazione digitale http://www.unacitta.it/newsite/altritesti.asp?id=213
- Serge Tisseron e diritto alla smentita su Conferenza comitato consultivo Google Parigi (min. 1:05:36) https://www.google.it/intl/it/advisorycouncil/
-Sentenza Google Spain, causa C-131/12 Mario Costeja Gonzales e AEPD contro Google Spain e Google Inc.








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